Epona, la dea appesa alle puzzolenti pareti delle stalle.

Zampe di velluto

Con la conquista della Gallia, gli orgogliosi cavalieri romani vennero in contatto con la dea protettrice del cavallo e ne subirono il fascino. Così Epona finì per guidare gli eserciti romani in battaglia, per proteggere i loro cavalli e le loro stalle, per alleviare le ferite dell’animo dei soldati. Epona fu l’unica divinità celtica adottata dai Romani. Il suo nome deriva da “epos” ed equivale al latino “equus”, cavallo. Precisamente è formato dalla radice ‘epo’ designante il cavallo e dalla desinenza ona, ossia ‘relativo a’. La divinità fu incorporata nel culto imperiale romano come Epona Augusta o Epona Regina. Sappiamo che era invocata nelle gare circensi perché una pittura che la raffigura è stata ritrovata presso uno dei cinque ippodromi di Roma, quello fatto edificare dall’imperatore Massenzio. Presso i Romani, infatti, si svolgevano corse sia con le bighe che con le quadrighe e tra il pubblico era diffuso un gran giro di scommesse. L’auriga era ricompensato con grandi somme di denaro e poteva raggiungere il successo al pari dei gladiatori; ma il vero protagonista era il cavallo, che veniva ricompensato con foraggio a volontà e una pensione confortevole.Così, Epona divenne una dea molto importante anche presso i Romani: era rappresentata circondata da due cavalli e seguita da un volo di tre uccelli provenienti dall’aldilà, mentre cavalcava lateralmente, alla maniera antica femminile. Era anche rappresentata come cavalla bianca, molto probabilmente perché il bianco è da sempre considerato un colore puro con connotazioni spirituali. La sua associazione con i morti suggerisce che custodisse i suoi devoti sia durante questa vita sia nell’aldilà. Per tale motivo alcune raffigurazioni a lei collegate mostrano cavalli alati. Portava con sé delle chiavi, talvolta semplici chiavi di stalle, ma più spesso chiavi che aprivano le porte dell’altro regno. Anche il cavallo a lei associato equivaleva a una guida per l’uomo nel mondo degli dèi: faceva da tramite tra il regno terrestre e quello spirituale.

Tra i Celti, Epona era celebrata il 2 novembre, la stessa data della festa di Loki, dio dell’astuzia e dell’inganno, e la festa degli Spiriti (non a caso dunque la stessa data fu scelta dalla Chiesa per celebrare i morti). I Romani tuttavia decisero di celebrare la dea dei cavalli il 18 dicembre. Non tutti tra i romani erano però devoti a Epona, e il poeta Giovenale era tra questi.  Probabilmente il poeta non possedeva un cavallo e non sentiva la necessità di ingraziarsi la dea. Infatti, la definì la “dea appesa alle puzzolenti pareti dei fienili”, e non certo in tono di lode. Secondo l’usanza già inaugurata dai Galli, piccole immagini di Epona sono state trovate su un ampio territorio presso stalle e fienili romani, mentre iscrizioni divinatorie dedicate alla dea in lingua greca, latina e germanica, sono state rinvenute in tutto l’Impero. Nonostante fosse associata al cavallo impiegato in contesti bellici, il culto di Epona era pacifico: la sua figura era associata alla donna come portatrice di vita. La dea protettrice del cavallo era praticamente anche una dea della fertilità e ciò è dimostrato dal fatto che in alcune sculture sono presenti patere (scodelle basse, spesso in metallo prezioso, usate per offrire bevande in sacrificio agli dei), cornucopie e spighe di grano. Soprattutto la presenza della cornucopia pone in rilievo la sua funzione protettrice e dispensatrice di doni e fertilità.

Che Epona interpretasse anche il ruolo di dea della fertilità non dovrebbe stupire. Tutta la primitiva religiosità del paleolitico e del neolitico era legata al culto della Dea Madre. Dall’Homo sapiens, e fino ad almeno al 3.000 a.C., l’umanità ha fatto ricorso alla Grande Dea Unica. La società era centrata sull’interazione armoniosa degli uomini con la natura e sulla complementarietà dei rapporti fra uomini e donne. E’ dal 3.000 a.C. a oggi che si è sostituita nell’immaginario collettivo la figura del Dio maschio. Fu la cultura kurgan a trasformare l’antica società di stampo matriarcale in una cultura patriarcale. Le donne smisero di ricoprire un ruolo dominante nella società governata da una Grande Dea simbolo di nascita, morte e rinnovamento.

La nuova cultura mise da parte l’armonia della natura e introdusse il contrasto maschio e femmina, giorno e notte, vita e morte. La cultura kurgan introdusse una schiera di divinità guerriere armate a cavallo, signori del tuono, del fulmine e degli inferi. La concezione ciclica, vita-morte-rinascita, fu sostituita da una visione lineare della vita. A loro non interessava la terra generatrice di vita, ma guardavano al cielo immaginandolo popolato da divinità guerriere e maschili. Così trasposero questa concezione all’organizzazione sociale in cui il maschio prevaleva. Anche i reperti archeologici testimoniano la presenza di armi nel corredo sepolcrale che prima non comparivano. La cultura kurgan esaltava la morte in combattimento al contrario della vita, tipica delle società matriarcali.Il culto della Dea Madre tuttavia non poté non influenzare il sistema teologico dei popoli nomadi e guerrieri che a diverse ondate si stabilirono nell’Europa antica e che avevano sviluppato una preferenza per le divinità maschili. Allo stesso modo, anche i popoli di stampo matriarcale non poterono non accogliere il culto delle divinità maschili, ma non misero del tutto da parte il culto della Dea Madre.Epona divenne in un certo senso l’erede della Dea Madre e, quale dea protettrice del cavallo, anche a quest’ultimo furono associati i cicli vitali: i poteri della fecondità della terra e della sessualità, del rinnovamento periodico della vegetazione, dei poteri del sogno e della divinazione. Un sacrificio del cavallo associato alla fecondità, che risultava necessario affinché questa si perpetuasse, si svolgeva con riti particolari. Tuttavia né i Celti né i Romani ne mangiavano le carni: forse come segno di rispetto verso l’animale che ritenevano importante; o forse perché, incarnando la dea, equivaleva a mangiarne le sacre membra. Oggi il culto di Epona si è spento; ma la dea dei cavalli, cavalcando attraverso i secoli, è giunta fino a noi che continuiamo a conservarne il ricordo. Da lei deriva l’antico nome, Eporedia, dell’attuale città di Ivrea, in Piemonte, nella quale ancora oggi si effettua una delle più importanti fiere di cavalli d’Italia.

 

 

Michela Pugliese

Sito: http://gocciadinchiostro.wordpress.com

Tratto dal libro ‘Cavalli e ronzini’ di Michela Pugliese

1 thought on “Epona, la dea appesa alle puzzolenti pareti delle stalle.

  1. Perché puzzolenti? Ho sempre trovato gradevole l’odore delle scuderie (non stalle, quelle sono per i bovini)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.