Qualcuno non vuole che si dica la verità sui “profughi” a scuola

Attualità

Milano 29 Ottobre – Sia mai. Sia mai che i nostri figli, dovutamente accompagnati a scuola fino a 18 anni (14 ad oggi, ma non disperate, a breve alzeranno il limite), siano esposti a questa malefica, fascista e razzista invenzione. La Verità. In particolare quella sull’immigrazione. E specialmente i cosiddetti profughi. Un gruppo, l’autonominatosi Istituto di Studi Giuridici sull’Immigrazione, ha deciso che il sussidiario de Il Capitello, quello che diceva chiaramente che la maggior parte dei richiedenti asilo erano, in realtà profughi, è razzista. Questa la loro argomentazione:

“Non è nostra intenzione muovere censure alla peraltro discutibilissima  impostazione educativa da Voi prescelta (che omette qualsiasi espressione di carattere solidaristico), né sulla  evidente erroneità di mettere in connessione “l’aumento di stranieri” con i “profughi”, laddove è invece noto che titolari di protezione e richiedenti asilo costituiscono una percentuale minima della popolazione straniera presente in Italia”.

Come sono modesti. Intanto, bontà loro, per stavolta sorvoleranno sull’assenza di propaganda immigrazionista. Transeat. Però hanno delle obiezioni sui numeri e sulla matematica. Sostengono, curiosamente, che l’arrivo di 160 mila profughi, come l’anno scorso, non aumentino gli stranieri. Come mai? Perché sono una piccola percentuale degli stranieri. Ah. Quindi se io aumento il debito pubblico dell’1%, in realtà non lo sto facendo crescere, giusto? L’1% è una cosa trascurabile dopotutto. Giusto? Giusto? No, eh? Ma continuiamo.

“Intendiamo invece segnalarVi che l’affermazione sopra riportata è gravemente errata sotto il profilo giuridico e il suo utilizzo può – a nostro avviso – dar luogo alle sanzioni previste per atti e comportamenti discriminatori. E infatti nei “centri di assistenza per i profughi”  non vengono affatto accolti “clandestini, cioè persone la cui permanenza in Italia non è autorizzata dalla legge”,   ma soggetti autorizzati a restare in Italia al fine di veder esaminata la propria richiesta di protezione. Ad essi viene rilasciato un regolare permesso di soggiorno e, decorsi 60 giorni dalla domanda di protezione, essi possono anche inserirsi a pieno titolo nel mercato del lavoro”.

E boom. No, davvero, siamo seri. Dunque il principio è questo: Mohammed arriva in Italia. In barca, consentitemi il cliché. Scende e chiede asilo. Ne ha diritto? Dipende. In primis, dipende dal fatto che non stia mentendo. Poi dipende dalla possibilità di provare ciò che afferma. Infine, dipende anche dalla decisione del nostro Stato, che può indiscutibilmente decidere se accogliere o meno. Ottimo, nei primi due casi, se Mohammed sta mentendo, non aveva diritto di chiedere la protezione. Questo è un principio non negoziabile, altrimenti l’intera Africa potrebbe chiedere il permesso e trasferirsi qua, in attesa di vedere crollare il nostro paese. Quindi è del tutto ragionevole dire che una discreta parte dei richiedenti, visto che i dinieghi sono preponderanti, mentivano. Mentivano quando gli veniva chiesto perché erano qui. Pertanto no, non era legittima la loro richiesta. E sì, non essendo legittima, loro erano clandestini.

L’’equiparazione tra il richiedente protezione (o addirittura il “profugo”) e il “clandestino-che-se-ne-deve-andare” costituisce gravissima violazione dei diritti sanciti dalla Convezione di Ginevra e dalla direttiva dell’Unione 2013/33, nonché comportamento molesto e discriminatorio.  Vi segnaliamo che proprio l’utilizzo di analoghe espressioni è già stato censurato dal Tribunale di Milano con ordinanza 22.2.2017, che ne ha affermato il carattere discriminatorio, condannando gli utilizzatori al risarcimento del danno”.

Il nostro non è un sistema di Common Law ed al di sotto della Suprema Corta le sentenze non fanno precedente. Inoltre, se questo Istituto è davvero composto da giuristi, dovrebbe sapere che i due casi non sono minimamente paragonabili. Quello che resta, quindi, è il triste tentativo di psicopolizia. E che il nostro sistema giuridico lo permetta, senza punirlo, è di una tristezza infinita.

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