Milano 4 novembre – Qualcuno di particolarmente malvagio (oppure solo realista: sono due qualità che all’opera spesso coincidono) aveva ribattezzato «Bacucco» la ripresa del «Nabucco» in scena alla Scala, in considerazione degli 86 anni del direttore, Nello Santi, e dei 75 del protagonista, Leo Nucci. E in effetti dopo le prime due recite si erano letti dei resoconti piuttosto freddi quando non negativi. Si è usciti quindi dalla terza, martedì 31, con un certo sollievo da scampato pericolo. Questo Verdi non entrerà nei fasti della Scala, ma non è risultato così horror come la coincidenza con la notte di Halloween poteva far temere. È chiaro che, a una certa età, si va a serate: e questa era buona. E così i tempi di Santi non sono apparsi affatto lentissimi come si era detto: non spediti, certo, ma nemmeno letargici e sempre coerenti. E comunque bisognerebbe smetterla di giudicare i direttori non per quello che fanno, ma per quanto tempo ci mettono a farlo. Per il resto, Santi è considerato un depositario della «tradizione», qualunque cosa ciò significhi, dato che si tratta del termine più insidioso e nebuloso del lessico familiare del Paese del melodramma. Da tradizione «buona», diciamo così, è la sua capacitò di enfatizzare il climax delle melodie verdiane, tanto che ti viene voglia di metterti a cantarle; da quella «cattiva», i tagli dei dacapo delle cabalette, usanza che nel 2017 sarebbe grave nella provincia più provinciale (infatti è ormai sparita anche lì), ma alla Scala risulta intollerabile.
Quanto «al Leo», era in serata sì pure lui. La voce appare come rinsecchita negli armonici, ma è ancora ferma (nessun vibrato caprino da cantante agé, insomma) e con il consueto invidiabile registro acuto. In ogni caso il pubblico adora Nucci, il che è una buona ragione per scritturarlo; magari, visto che ce ne sono, non sarebbe male far ascoltare al pubblico della Scala anche qualche altro baritono verdiano. Pure Marina Serafin, che fa Abigaille, è un’interprete sempre interessante. Ma la voce è ormai spaccata in tre, gravi sordi, un registro centrale ancora bello e acuti terribilmente striduli. Forse per lei è arrivato il momento di cambiare repertorio. Idem per Mikhail Petrenko: Verdi non fa per lui, quello «di galera» men che meno, la tessitura acuta di Zaccaria proprio per nulla. Non mangiate pesante dopo lo spettacolo perché potreste risentire nell’incubo la sua cabaletta del primo atto. Funzionano invece sia Fenena, Annalisa Stroppa sempre inappuntabile da ascoltare e piacevole da vedere, sia Ismaele, Stefano La Colla, però forse più per doti naturali che tecniche. Giganteggia, al solito, il coro di Casoni: «Espectaculàr!», come ha sentenziato dopo il «Va, pensiero» una vegliarda ispanica seduta dietro di me, a voce ovviamente altissima.
Beh, volume a parte, aveva ragione. Lo spettacolo di Daniele Abbado è quello prodotto per il bicentenario verdiano. L’inizio è folgorante, con gli ebrei in gilet anni Trenta che si stringono intorno a un’evocazione del monumento alle vittime dell’Olocausto di Berlino. Poi tutto il resto si svolge in un suggestivo nulla con sfondo di proiezioni, risultando classico, elegante, sobrio e un po’ statico. E’ forse un errore non differenziare con chiarezza gli ebrei oppressi dai babilonesi oppressori, mentre le fiamme vere che accompagnano la cavatina di Abigaille sono fotografatissime dai turisti e apprezzate da tutti, secondo il ben noto principio per cui un barbecue è cosa normalissima nel cortile di casa ma suscita stupore e maraviglia appena lo metti in palcoscenico. In ogni caso, quella di Abbado è una buona soluzione per un’opera notoriamente difficilissima da mettere in scena come «Nabucco», a meno che non si vogliano riesumare ziggurat e tovaglie drappeggiate che fanno tanto Babilonia… L’allestimento. 12 cavalli in scena che si prodigano in cariche di cavalleria, spari, cannonate, barricate, soldati di diversi eserciti, il popolo, il Teatro alla Scala, fuori e dentro dove si canta “Va, pensiero”. Chiariamo subito che ci troviamo a parlare proprio di Nabucco ma trasposto negli anni turbolenti del Risorgimento. L’azione si svolge tra il 1848 e il 1860 ed è focalizzata a Milano, durante le Cinque Giornate.Se è vero, come dice Bernard, che «il Risorgimento è stato uno dei momenti storici, intellettuali, popolari più importanti della storia d’Italia, dove si sono incrociati l’eroismo, l’abnegazione e il fermento popolare, tutti per la libertà della propria patria» è anche vero che non sempre è facile immaginare una ambientazione diversa da quella tradizionale del conflitto tra Babilonia e Gerusalemme. Si può attualizzare ma con spostamenti congruenti, mentre nel corso di un allestimento operistico le situazioni rischiano di diventare confuse.
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