Il deposito di via Messina trasformato dai tranvieri in museo “operativo”

Milano

Milano 19 Novembre – «Il nostro museo operativo». Lo chiamano così, le maestranze del deposito Atm di via Messina. Quattro stanze piene di utensili antichi, preziosi. Durante l’ultimo riordino generale stavano per essere buttati. Scoperti durante una giornata di ispezione nelle cantine, sono stati invece salvati. Sistemati con cura, ripuliti e attaccati alle pareti o appoggiati sulle mensole di quelle che, in effetti, sono anche vere e proprie sale operative. «Nelle pause dal lavoro abbiamo esposto gli strumenti usati dai nostri colleghi dagli anni 30 in poi. Ci ispirano per le mansioni che svolgiamo ogni giorno, ci ricordano che abbiamo una storia lunga da onorare», dice Andrea Vanelli, responsabile della manutenzione da quando, nel 2016, è andato in pensione Gianmario Comi, capo officina da una vita.

Vanelli ha ideato il progetto. Una dozzina di operai l’hanno preso a cuore e arricchiscono il «museo» di oggetti sempre nuovi. Il via vai è continuo. Le maestranze entrano, si tolgono gli elmetti e i guanti, aggiustano i vecchi macchinari, allestiscono nuovi ripiani, migliorano l’esposizione. «Vorremmo espandere questa strana galleria anche in altri uffici. E stiamo preparando le targhette per spiegare la funzione di ogni strumento a chi volesse venire ad ammirarli», sorride Vanelli.

Il deposito di via Messina, unico in Europa per la sua particolare architettura, con una doppia campata e due ingressi ma una sola uscita per i tram, non è mai accessibile. Si aprirà al pubblico in via eccezionale solo due giorni, il 2 e 3 dicembre. All’ingresso del «museo», in alto, qualcuno ha appeso una sorta di robot spiritoso costruito con pezzi di ricambio. E su una parete all’interno campeggia una croce formata da due antichi martelli: «È arte tramviaria, un saggio di creatività — annuncia Giovanni Scaglione, falegname —. Nel nostro lavoro ne occorre in continuazione, davanti ai problemi che incontriamo strada facendo».

Ci sono le pale di legno che servivano per riversare sui binari il sale, i raschietti di ferro per togliere il ghiaccio e sporcizia. E poi i controller che monitoravano la trazione delle vetture, i bracieri dove veniva fuso il grasso che altrimenti si solidificava, i mestoli per colare lo stagno. «E ancora sollevatori di quasi un secolo fa ancora incredibilmente funzionanti, un voltmetro e amperometro d’epoca e una collezione di calibri per misurare le grandezze dei cerchioni dei tram», spiega Massimiliano Canetti, l’operaio elettromeccanico con maggiore anzianità nel deposito. «La strumentazione è cambiata di colpo negli anni 80. Ora qui convivono tram tecnologicamente avanzatissimi come i Sirietto e vetture speciali come le “sabbiere”, ideate negli anni 20 e perfezionate nel ‘46 per sistemare i binari quando sono scivolosi», dice ancora Domenico Quarto, responsabile dei conducenti. In via Messina, essendoci due vie perpendicolari per l’ingresso e una sola uscita, il rimessaggio dei tram deve essere gestito con estrema precisione.

Gli operai nel museo sono rapiti da alcuni disegni d’epoca. Rappresentano vecchi modelli degli storici carrelli Milano 1928: «Avevano sedili diversi ed era segnato il “trono” del bigliettaio nella parte posteriore — sospira Scaglione, il falegname —. È il nostro piccolo mondo antico».

Elisabetta Andreis (Corriere)

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