ll segugio chiamato Bartolomeo per il santo del giorno in cui è stato trovato. Come un bimbo ben educato.

Zampe di velluto

Di notte dormiva nella stanza degli ospiti, con la testa sul cuscino.

Nella mia lunga vita,vado per gli 83 anni, che ormai sta volgendo al termine, sono stato rallegrato da 11 cani, ognuno con il suo carattere, tutti adorabili. L’ultimo mi è stato portato da un amico che lo trovò in un canile a Mantova, nel 2006, età presunta di 14-18 mesi. Era di razza, ma essendo forse fuggito cucciolo da un allevamento non poté essere identificato. In realtà desideravo un anzianotto che volevo coccolare quanto possibile, ma andò così, Il suo nome era Bartolomeo, il Santo del giorno del suo ritrovamento, poi abbreviato da me in Tao. Forse era un Segugio del Lucernese o del Giura, ma non importa. Pesava 24 chili, tremava tutto per la paura del viaggio, ed arrivò a 38, perché la nostra mensa gli era molto gradita. I suoi occhioni intelligenti mi scon-sigliarono di dargli i soliti insegnamenti tipo: zampa, seduto, fermo, qui e così via. Perché non era un giocattolo. Da me si trovò subito bene. Infatti scelse un angolo del divano con vista sul panorama, per il giorno, da dove poteva scrutarmi in tralice. Dopo il pranzo, per motivi suoi, andava in giardino, anche a lungo, ad incontrare i passanti, che salutava stando ritto in piedi appog-giato allo steccato, a farsi accarezzare con molto piacere. Poi, con tutto il suo comodo rientrava, ci passava accanto immerso nei suoi pensieri, ignorandoci e si recava nella sua stanza per il sacrosanto pisolino pomeridiano. Prima o poi,a suo piacimento si ripresentava per la cena e le smancerie. Ogni tanto un mio altro amico veniva a farmi visita, per chiacchierare. Lui, intendo Tao, sentiva arrivare la sua auto, la riconosceva dal suono, e dava fuori da matto. Urli, salti e sdilinquimenti vari. Specialmente quando Albert, questo è il nome dell’amico in questione, gli portava pezzi di bordo delle pizze (ottime) che andavamo a goderci in un certo locale.

Franco Anselmi
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Tao aveva anche ottimi rapporti con altri cani locali, con il vecchio micio del vicino e con le sfilate dei numerosi bambini che, accompagnati dalle loro maestrine, facevano le salutari passeggiate mattutine. Qualcuno di essi lo temeva, ma la maggior parte lo attorniava, con suo sommo gradimento e signorile comportamento. Di notte preferiva la stanza degli ospiti, dove dormiva con la testa sul cuscino, come un umano ben educato. Talvolta scappava, piovesse o nevicasse e le mie ricerche erano inutili, data la vastità di questo luogo montano. Allora lasciavo le porte socchiuse ed improvvisamente ricompariva, con aria indifferente. Ogni tanto, proprio per farlo felice, lo portavo in auto su uno splendido altopiano non molto distante. Si piazzava al centro del sedile posteriore, con il suo naso dietro al mio orecchio destro, attentissimo. Poi cominciava ad uggiolare, quindi ad abbaiare saltando qua e la, “spruzzando” pura gioia, e saliva sui finestrini o sulla mia nuca, quasi stordendomi con i suoi schiamazzi. Roba da incidente stradale, ma ebbi fortuna. Voleva bene a tutti e ne era ricambiato, specialmente da me, che ogni tanto lo ritrovavo pacifico sul mio letto. Pur essendo un carnivoro era golosissimo delle fettine di zucchine crude che la signora che mi accompagna af-fettava per la cena delle quali lo ingozzava con sua grande gioia e stupore nostro. Zucchine crude? Proprio sì, però cotte per noi. Il tempo passò. I miei problemi di salute diventarono pesanti e contemporaneamente anche i suoi. Accusò difficoltà di movimento negli arti posteriori (paralisi progressiva?), perciò dovevo sostenerlo quando gli occorreva uscire o rientrare dal grande giardino e poi aiutarlo ed andare in camera sua. Però mai un lamento, solo dolci, affettuosi sguardi. I veterinari, ovviamente, non gli furono utili. Arrivo al dunque. Era il 5 agosto 2015, alle 3 e 40 del pomeriggio. Lo misi in giardino su una coperta, all’aria fresca. Continuamente andavo a controllarlo, ma poi lo riportai davanti all’ingresso per vederlo meglio e poterlo accarezzare. Però le sue reazioni erano sempre più blande ed i miei sforzi inutili. Improvvisamente si alzò su un gomito, guardò attentamente il suo giardino, i suoi alberi, fece un profondo respiro ed emise tre deboli guai-ti. E fu la fine. Gli chiusi delicatamente gli occhi ormai spenti. Piangere mi è sempre stato molto difficile, ma ogni volta che penso a Tao non riesco a trattenermi. E così è anche adesso, mentre Vi scrivo. Non so dove sei, amato cuore a quattro zampe, ma ti troverò. Arrivederci Tao, aspettami con la tua pazienza canina insieme ai tuoi predecessori.
VITTORIO PETRACCO  (Libero)

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