Milano 1 Dicembre – Un sacco a pelo rosso. Accanto, una piccola ciotola lilla per l’acqua. Nell’angolo del portone, un paio di stivaletti. Teatro alla Scala, mezzanotte passata. Il giaciglio di Peppe è all’ingresso principale del Piermarini. Una mano protesa davanti alla faccia come a proteggersi dal freddo e dalle sventure della vita. Con lui, rannicchiato nel sacco a pelo, il suo cucciolo bianco e nero, Tommy, compagno inseparabile di queste notti all’addiaccio. Poco lontano, all’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele II, altri quattro clochard riposano sui loro letti improvvisati: coperte e cartoni, bicchieri di carta per raccogliere l’elemosina, buste per rimettere tutto in ordine la mattina dopo, sotto le luminosissime insegne della moda e il grande albero Swarovski. Anche sul sagrato di piazza Duomo e in via Berchet, dietro Palazzo Marino, i clochard affrontano come meglio possono i rigori della notte.
Tanti vengono dall’Est Europa, ma uno di questi senzatetto rivendica la propria nazionalità, la bandiera italiana di fianco all’alcova improvvisata. In centro, gli homeless destinati a trascorrere Natale sotto le stelle sono più di 120, secondo le stime del Comune. Peppe è uno di questi. Da mezzanotte alle dieci dorme davanti al tempio della lirica. Non lo sveglia il traffico dell’ora di punta e neanche il lavaggio speciale dei sampietrini della piazza all’una di notte. La piazza si rifà il look in vista del 7 dicembre, la sera dell’inaugurazione della stagione del tempio della lirica. Quella sera tutti gli occhi saranno puntati sull’evento mondano clou del dicembre meneghino. In queste notti di gelo, gli stessi occhi vedono altro. «Cerco lavoro, ma sono allo stremo, dormo per strada da cinque anni — racconta Peppe, mentre si accende una sigaretta per riprendere contatto con la realtà — perché nei dormitori pubblici non accetterebbero Tommy, il mio cucciolo», un incrocio di fox terrier e chissà quale altra razza. Peppe è di Napoli, ha 44 anni e da una ventina vive a Milano. Qui aveva trovato lavoro e un affitto in Bovisa. «Meccanico di linea in una ditta di Nova Milanese, in provincia di Monza. Quando l’azienda si è trasferita all’estero, mi sono dimesso e ho accettato una buonuscita di 37 mila euro. Ma ho sbagliato, ho buttato via i soldi, ho perso la casa e non sono più riuscito a ripartire». Di giorno fa l’elemosina in via Manzoni. Di notte, staziona sotto il portico del Piermarini. «Ma non sai mai come la prendono quando riaprono i battenti». Così a volte cambia domicilio. Come farà anche a ridosso di prime e primine dell’Andrea Chénier, l’opera che aprirà la stagione scaligera. I pochi passanti notturni concedono solo un’occhiata al clochard della Scala. Nessuna parola di conforto, nessun aiuto.
Stessa noncuranza verso i quattro nottambuli all’Ottagono: i turisti hanno occhi solo per l’albero Swarovski. «Ma ogni tanto viene qualcuno a darci un tè caldo o un panino», racconta Hristo, appena arrivato dalla Bulgaria, intento ad ascoltare la radio per imparare un po’ d’italiano, prima di coricarsi. Ad aiutarli sono i volontari delle associazioni che oltre ad assistere i senzatetto cercano di convincerli a trasferirsi nei dormitori pubblici. «L’emergenza è sempre più alta — spiega Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Progetto Arca — aumentano gli indigenti e soprattutto gli stranieri senza permesso di soggiorno o che non trovano alloggio nelle strutture di accoglienza» . I centri 24 ore su 24, le unità mobili, i servizi di assistenza sanitaria gestiti da Fondazione Arca cominciano a entrare in fibrillazione, con il calo delle temperature. Anche se non è sempre facile convincere «lo zoccolo duro degli irriducibili, spesso mossi da orgoglio o dalla paura di perdere legami affettivi spostandosi dai luoghi abituali. Noi ci proviamo», aggiunge Mario Furlan, fondatore dei City Angels.
La stessa paura che attanaglia Peppe all’idea di separarsi da Tommy. In realtà da un paio d’anni ci sono gli spazi per accogliere i padroni di cani e il loro pet: 60 posti al dormitorio di via Graf e una decina di cucce nel nuovo centro di accoglienza «L’oasi del clochard» di via Lombroso, gestito dagli angeli in giubba rossa.
Luca Salvi (Corriere)
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