Quando il razzista è nero e odia i bianchi, è politically correct

Attualità

Milano 5 Dicembre – Prendete il New York Times, la Bibbia liberal dei progressisti di tutto il mondo. La voce della sinistra radical-chic che sogna global, dei fighetti che stanno sempre dalla parte degli ultimi (con i soldi dei primi). Il giornale del multiculturalismo ideologico e dei poteri economici, dell’anti-razzismo e dei Maestri illuminati della finanza apolide.

Bene, ora prendete un giurista afro-americano di nome Ekow Yankah che insegna Diritto alla Yeshiva University di New York; attivo nel Partito Democratico come Capo del Consiglio degli Avvocati del DNC e i cui articoli sono ospitati regolarmente sul New York Times appunto e sul Huffington Post.

Ora miscelate tutto, shakerate con forza e bevete il cocktail di un razzismo così violento, ignorante, spudorato e repellente al confronto del quale un volantino del Ku Klux Klan sembra un testo di integrazione multirazziale.
Solo che siccome questa volta il razzista è nero e l’odio è contro i bianchi, allora per l’ipocrisia di sinistra è politically correct.

Se il razzista è nero, il suo razzismo è politically correct perché considerato un atto di difesa contro i bianchi 

UN DELIRIO POLITICALLY CORRECT
Qualche giorno fa il Prof. Yankah, in un editoriale ospitato sul New York Times, si è domandato: “i miei figli possono essere amici dei bianchi?”.
Ovviamente la sua risposta è no. I suoi figli non possono essere amici dei bianchi. E non perché lui è un razzista ma perché lo sono i bianchi; quindi siccome i bianchi sono razzisti allora lui insegnerà ai suoi figli a non avere amici bianchi. Semplice no?

Ma perché i bianchi sarebbero razzisti?
Innanzitutto perché sono bianchi
; e quindi portano una sorta di marchio d’infamia razzista per l’eternità a causa dello schiavismo.

Poi perché bianchi sono quelli che hanno votato Trump e la sua elezione costringe il povero professore nazi-black a ricordare ai suoi ragazzi la lezione delle vecchie generazioni; cioè “insegnerò loro il sospetto e insegnerò loro la sfiducia” e quindi insegnerà loro a tenersi alla larga dai bianchi cattivi.

Per carità lui scrive queste cose con “il cuore spezzato” ma purtroppo non ci sono alternative: “La storia ha fornito alla gente di colore pochi motivi per avere fiducia dei bianchi (…) e questi ultimi mesi hanno messo in risalto il disprezzo con il quale il paese misura il valore delle minoranze”.

E l’elezione di Trump ha fissato nella mente del povero giurista nero “un pensiero terribile ma familiare ai neri americani: non puoi fidarti di queste persone”, cioè dei bianchi.

E attenzione, non solo dei bianchi che hanno votato Trump ma anche di quelli che odiano Trump ma non fanno di tutto per contestarlo.

Come ha scritto Scott Greer: quello espresso qui “è un concetto folle che mina gli insegnamenti sulla razza degli ultimi 60 anni” cioè di non “giudicare qualcuno dal colore della pelle ma dal proprio carattere individuale”. Il professore liberal progressista invece afferma il contrario trasformando la razza nel “fattore principale per giudicare una persona”.

Possiamo solo immaginare cosa sarebbe successo se un giurista bianco avesse pubblicato un editoriale affermando di voler insegnare ai propri figli a non avere amici neri. Probabilmente gli avrebbero tolto l’insegnamento, sarebbe stato linciato sui media (e non solo lì) e forse denunciato per istigazione razziale.

Ma se il razzista è nero, la sua discriminazione è solo un atto di difesa; perché il razzismo contro i bianchi è un razzismo vittimistico: io vi odio perché voi odiate me.
Questo sul New York Times è un delirio razzista per certi versi più pericoloso di quello dei suprematisti bianchi.

Perché è un razzismo espresso dall’élite liberal e legittimato dal potente sistema dei media; perché quello che preoccupa è che Enkow Yankah insegna il suo razzismo anti-bianchi all’Università, così come lo fa, per esempio, la professoressa Jessie Daniels, sociologa (bianca) della City University di New York che pochi giorni fa ha spiegato che le famiglie composte di bianchi e che “riproducono bambini bianchi”, generano il razzismo in quanto legittimano la supremazia bianca nel Paese. E che quindi solo le famiglie multirazziali dovrebbero essere agevolate: “Se sei un bianco che si definisce anti-razzista ma poi fai dei figli bianchi, allora sei parte del problema”. Insomma se sei bianco o bianca e non vuoi essere complice del razzismo devi procreare con una donna o un uomo neri.
Una così dovrebbe essere rinchiusa in una clinica psichiatrica invece insegna in un’università pubblica americana.

L’odio ideologico nei confronti di Trump impedisce all’élite intellettuale liberal di riconoscere che le minoranze razziali sono tutelate dalla Costituzione americana; da quel XIV Emendamento che rappresenta una delle più grandi conquiste civili di tutti i tempi e che fu promosso e voluto da legislatori bianchi (e repubblicani visto che gli schiavisti furono storicamente i Democratici).

Il razzismo di un razzista è facile da combattere, perché visibile, esecrabile, spesso caricaturale; certo violento ma facilmente perseguibile dall’opinione pubblica.
Ma il razzismo dell’anti-razzista è subdolo, nascosto, ipocrita perché considerato politically correct dall’élite. Un po’ come il fascismo degli anti-fascisti. Giampaolo Rossi (Il Giornale)

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