Milano 9 Dicembre – Vanno in scena l’identità e l’orgoglio di Milano, a Sant’Ambrogio, durante la Prima della Scala. E il rito si consuma tra luci, facce gonfie di botox, abiti a volte esagerati, braccia ricamate di messaggi, sorrisi stampati per dire “Io ci posso stare”: il trionfo insomma di tanti radical non si sa quanto chic e pochi amanti veri della musica. Perché apparire alla prima della Scala è sinonimo di appartenenza ad un ceto sociale privilegiato, autoreferenziale, in cui riconoscersi è importante. E chi se ne frega se i politici romani, quelli che pesano, hanno snobbato l’evento, quasi che avessero paura delle eventuali contestazioni e che l’onorevolissima Boschi abbia scelto di entrare dal retro come un ospite di passaggio per timore dei fischi… sì, chi se ne importa. Sala manda giù il rospo con malcelata ironia, ma sa che con tutte le beghe interne alla sinistra, la voglia di recitare spensieratezza non c’è. Anche il rito delle contestazioni è stato scientemente tenuto a bada con un imponente controllo. La vigilanza è fissa all’ingresso del teatro, mentre lungo il perimetro esterno sono schierati gli uomini di pronto intervento. Prima e durante la rappresentazione teatrale la polizia ha fatto ispezioni e bonificato i tutti i punti sensibili. I metal detector sono stati estesi anche ai quattro ingressi della Galleria Vittorio Emanuele. Gli antagonisti, quelli de Il Cantiere però ci sono e assieme al comitato Inquilini hanno organizzato una “sfilata” alternativa a quella che va in scena al Piermarini. Ma Sala non si è fermato a fare un salutino, è comprensibile…va bene il pugno chiuso e la tacita comprensione, ma la Prima è la Prima.. Al rosso fiammante degli abiti delle sciure, al cicaleccio di convenevoli salottieri, alla in via Ortles il “loggione” dei clochard ha applaudito convinto. Relaziona il Corriere “Onofrio Mastromarino è il melomane di casa Jannacci. «Alla Scala andavo quattro o cinque volte all’anno. Mi ricordo di un Nabucco fantastico…». Arriva nella sala allestita in viale Ortles 69 con mezz’ora d’anticipo. Vuole scegliere il posto migliore per non perdere nemmeno una nota della Prima diffusa. Dal carcere di San Vittore al Beccaria, dall’aeroporto di Malpensa alla fondazione Feltrinelli passando per teatri e auditorium, sono una trentina i luoghi in cui si trasmette l’opera diretta da Riccardo Chailly. Onofrio, che sulle poltrone rosse del Piermarini si è seduto spesso, racconta di essere nella casa d’accoglienza da settembre scorso, «dopo aver rotto con la famiglia. Sono in attesa di trovare una dimora». Con lui nel salone una sessantina degli attuali 592 ospiti e 4o milanesi. .. «Tanti giovani africani e signore dell’Est Europa, venute in Italia per fare le badanti e poi rimaste senza nulla» dice il direttore Massimo Gottardi. Violeta Ivanova Moscova è una di loro. Bulgara, lavora saltuariamente per una mensa. Si è messa orecchini e sciarpa elegante, ascolta accanto a un’amica l’opera di Umberto Giordano. «Mi piace l’iniziativa — dice — anche gli stranieri devono conoscere la cultura europea». Alle 18 cala il silenzio. Solo nell’intervallo il pubblico si lascia andare ai commenti, tra una fetta di panettone e un bicchiere di Coca Cola. «Magnifico il basso» per Onofrio. Alle battute finali, gli applausi forti di tutta la sala.”
E la musica, la grande musica, supera le contraddizioni sociali nel miracolo della bellezza.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano