Milano 11 Dicembre – Sono tutti nigeriani sotto i trent’anni. Sono almeno 200, solo a Milano. Chiedono l’elemosina soprattutto in centro, ma spesso abitano in cinque o sei in appartamenti presi in affitto nell’hinterland a nord della città. È questo il ritratto che emerge dall’indagine sui questuanti africani svolta dalla polizia locale milanese e denominata “Baseball cap”, dal cappellino con visiera che indossano o tengono in mano per chiedere l’elemosina.
L’approfondimento – voluto dall’assessora comunale Carmela Rozza e condotto dall’ufficio Uci, coordinato dal comandante Marco Ciacci – è durato sei mesi, fra pedinamenti, fotografie e mappatura della città. I risultati sono stati depositati in procura nei giorni scorsi. Il profilo dei giovani mendicanti che emerge è molto diverso da quello del disperato. Molti dei ragazzi sono in Italia da anni, hanno permesso di soggiorno di lunga durata e un lavoro, spesso in nero. Alcuni parlano un buon italiano. E c’è chi in Italia ha mogli e figli, regolarmente iscritti a scuola.
Nel chiedere monete di fronte ai negozi, sono organizzati da un piccolo gruppo di “coordinatori”, che allontanano altri questuanti come rom e senzatetto, e vigilano sul rispetto degli orari di “lavoro”: dalle 7 alle 14 almeno, a volte fino alle 16. Il sospetto della polizia locale è che i giovani nigeriani chiedano l’elemosina (da 30 a 50 euro a testa ogni giorno) per pagare un debito.
“Potrebbe trattarsi delle spese del viaggio in Italia, per se stessi o per altri”, azzarda un investigatore. Se davvero ci sia un racket alla base dell’elemosina organizzata lo stabilirà la procura. In tanti mesi di indagine, però, non si è mai riusciti a documentare passaggi di denaro fra i semplici questuanti e i loro “coordinatori”.
Franco Vanni (Repubblica)
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