Questa è un’Italia fondata sul lavoretto

Attualità

Milano 15 dicembre – Lo chiamano fast job e potrebbe essere scambiato per un lavoro veloce. In realtà non è così. Si tratta di lavori di poche ore e di scarse garanzie. Tuttavia bastano all’Istat per parlare di occupazione aggiuntiva. Decisamente eccessivo se non addirittura falso. Perché ciò che risulta come un impiego in realtà è, spesso, un semplice lavoro a ore. Poche, anche solo una a settimana. Ecco, la spiegazione degli annunci sulla disoccupazione in calo.  Un lavoro a giornata, pagato quattro soldi  e senza alcuna tutela. Tuttavia negli algoritmi dell’Istat figura come un occupato in più. In media si percepiscono tremila euro l’anno, 250 euro al mese. Però c’è la tredicesima.

Tutto molto precario ma lo scorso anno, con questo sistema l’Istat ha calcolato quattro milioni di posti in più. Nonostante questo il tasso di disoccupazione non riesce a scendere sotto la soglia dell’11%. Perché accade è semplice da capire: vengono persi posti di lavoro “forti” sostituiti da precariato diffuso. Quel poco di occupazione in più che si sviluppa, ammette l’Istat si deve solo al lavoro a tempo determinato che  negli ultimi anni ha raggiunto picchi mai visti.  Per mesi dalle parti di Palazzo Chigi si sono illusi che per far ripartire le assunzioni bastasse finanziarle, distribuendo a pioggia miliardi di incentivi. La forma più diffusa è stato l’azzeramento dei contributi previdenziali a carico delle aziende sui neo-assunti. Risultato: nel 2015 abbiamo avuto il boom di neoassunti, ma a spese dello Stato, cioè del contribuente. Poi la fiammata si è spenta perché notoriamente il lavoro non si crea per decreto. Via libera a un lavoro sempre più precario, anzi parcellizzato. Lo chiamano intermittente, a chiamata. Meglio dire: a giornata. Anche se spesso non si tratta neppure di una giornata lunga otto ore, ma di una composta di due o tre. Del resto la metodologia con cui l’Istat raccoglie i dati consente di definire occupato anche chi abbia «svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura». Ma se così è varrebbe la pena di modificare l’ articolo 1 della Costituzione, là dove dice che la Repubblica è fondata sul lavoro. Diciamo che è fondata sul lavoretto.

Ernesto Preatoni blog

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