E così assistiamo mestamente agli ultimi atti della non esaltante storia di casa Savoia.
Nei giorni scorsi mi pare abbia suscitato soprattutto curiosità la notizia dell’improvvisa traslazione in Italia delle spoglie mortali della Regina Elena, raggiunte poi nella giornata di oggi (ndr ieri) da quelle del consorte Vittorio Emanuele III (ho parlato di curiosità perché la gran parte degli italiani probabilmente si è chiesta chi o cosa fosse la Regina Elena, che i più acculturati identificavano con un piroscafo, una clinica o un albergo).
L’operazione è stata compiuta in gran segreto, per ragioni che si fa fatica a immaginare. Forse non si voleva disturbare l’altra e più delicata partita che vedeva impegna la Casa Reale: la partecipazione del principe Emanuele Filiberto all’Isola dei Famosi (poi ahimè saltata per mancato accordo sul principesco cachet del Principe di Venezia).
Comunque la Regina ora riposa nel Santuario di Vicoforte, luogo noto soprattutto per la pregevole qualità dei funghi porcini che si raccolgono nei dintorni, e questo è un bene, perché se l’esilio dei vivi era un’ingiustizia, l’esilio delle salme è addirittura un atto grottesco.
E’ un bene anche perchè pare che Elena fosse una gran brava persona.
Era di origini non illustrissime, ma di sana e robusta costituzione.
Suo padre, primo e unico Re del Montenegro, nel breve periodo in cui il piccolo stato fu indipendente, era una sorta di capo-tribù.
Ho visitato il “palazzo reale” di Cettigne, nel quale Elena trascorse i primi anni della sua vita: una dignitosa villa di un qualunque possidente agricolo nelle nostre campagne.
La stessa “capitale” Cettigne è un luogo buffissimo, una specie di villaggio fra le montagne, che si raggiunge con strade impervie, e che consiste in sostanza in un agglomerato di case contadine di pietra e un unico viale lungo il quale sorgono – del tutti incongrui – una serie di palazzi ottocenteschi di un certo lusso. Sono le ambasciate che in gran fretta i paesi europei dovettero costruire per relazionarsi con il nuovo sovrano, e che dal 1918 giacciono inutilizzate
Il Montenegro attuale, più prosaicamente ha scelto come capitale Podgorica, orrendo agglomerato di costruzioni da socialismo reale, con qualche fabbrica intorno e qualche oscuro merito nella resistenza anti-nazista.
In effetti il re Nicola I fece di tutto per ingentilire la figlia, che fu spedita a Pietroburgo a tentare di acquisire modi più sofisticati alla corte dello Zar.
Tentativo riuscito solo in parte, probabilmente, visto che la Duchessa d’Aosta, nata Orleans, e quindi abituata ai raffinati modi parigini, amava definire la cugina con il simpatico appellativo “ma cousine, la bergére” (mia cugina, la pecoraia).
In sostanza, re Umberto I la fece sposare al figlio per migliorare la razza, visto che l’erede al trono, il futuro Vittorio Emanuele III, era alto 1.53, Elena quasi 1.80, come si può notare nella foto allegata.
Ciò valse all’augusto coppia anche l’affettuoso nomignolo di “Curtatone e Montanara”, gioco di parole oggi difficilmente comprensibile, perchè basato sul nome di due località della provincia di Mantova nelle quali si svolse un episodio marginale della guerra fra Piemonte ed Austria nel 1848.
Nella retorica risorgimentale dell’epoca, questo fatto d’arme minore, e nel quale comunque gli austriaci vinsero, venne trasformato in una pagina di eroica resistenza dei “patrioti” e quindi tutti gli italiani alla fine dell’800 avevano ben chiaro di cosa si trattasse.
Qualche bello spirito osservò come la statura di Vittorio Emanuele e l’aspetto e i modi di Elena si addicessero molto bene alla patriottica reminiscenza.
Comunque la coppia fu molto felice, Elena fu una buona moglie e una buona madre, forse troppo protettiva. Certo, seppe crescere l’unico Re di casa Savoia degno di questo nome, Umberto II, figura di singolare nobiltà, eleganza, fascino, malinconia. I Savoia, altra beffa del destino, furono cacciati dal Quirinale con un referendum-truffa, proprio quando avevano espresso il meglio di sè.
Donna di buon senso, non si compromise con le scellerate scelte politiche del marito, gli fu a fianco fino alla fine, e trascorse gli ultimi anni a Montpellier, malata e in condizioni economiche modeste, soccorrendo con il poco che le era rimasto molte persone bisognose. Nella città francese, dove è stata sepolta fino ai giorni scorsi, è stata molto apprezzata e viene ricordata con affetto.
E’ addirittura stato istruito un processo di beatificazione dalla Chiesa Cattolica, alla quale si era convertita (era nata ortodossa), peraltro ancora ai preliminari.
Tutto sommato una delle migliori figure delle breve e non esaltante storia della monarchia italiana.
Una storia inaugurata da un furbo e rozzo sovrano di un piccolo Regno a cavallo delle Alpi, Vittorio Emanuele II, che sfruttando con spregiudicatezza alcune contingenze politiche e le follie nazionalistiche dell’800 impose all’Italia un’unità della quale solo pochi fanatici sentivano davvero il bisogno.
Figura zotica e per certi versi imbarazzante (vari sovrani e ambasciatori stranieri ebbero modo di lamentarsi dello scarso olezzo e del bizzarro modo di stare a tavola del sovrano, a margine di incontri e pranzi di stato) lui stesso amava talmente l’Italia da non parlarne neppure la lingua (a corte si parlava solo in francese e in dialetto piemontese), e da conservare, nel titolo, l’ordine di successione della Corona Piemontese, e non adottarne uno italiano (Rimase cioè Vittorio Emanuele “secondo”, non divenne Vittorio Emanuele “primo”, pur essendo ovviamente il primo Re d’Italia con quel nome).
Una storia continuata con quel Vittorio Emanuele III i cui demeriti – statura a parte – sono ben noti, dal rifiuto di firmare lo stato d’assedio per bloccare con l’esercito la “marcia su Roma”, fino alla firma – questa ahimé non rifiutata – sulle leggi razziali del 1938. Forse la sua colpa meno grave fu, nonostante tutto,la fuga da Roma nel 1943, una vicenda grottesca per i modi nei quali fu condotta, vergognosa perchè abbandonava milioni di soldati italiani alla loro sorte, ma tuttavia in qualche modo giustificata dall’esigenza di salvaguardare la continuità dinastica e di governo.
Una storia che finisce nella farsa di un pretendente al trono che di pretendere non si sogna neppure, che ha sposato una borghese contro il volere del padre, che – sparatorie a parte – ha passato la vita in lucrosi ma non elegantissimi affari, fra armi e slot machines.
Dell’ultimo degno erede, Emanuele Filiberto, abbiamo già detto. Wikipedia lo definisce “membro di casa Savoia e personaggio televisivo”. E con questo è detto tutto.
Triste destino, essere monarchici in Italia (nel senso di essere convinti – io lo sono – che la Monarchia ove abbia un senso sia la forma istituzionale migliore per una nazione).
NB Un paese degno di questo nome, comunque, non si vergogna della sua storia: il luogo della sepoltura dei Reali doveva essere il Pantheon, non un pregevole santuario piemontese nel quale riposano i Savoia del 600.
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