Non un felino qualunque, ma la gatta di Francesco Petrarca sul grembo al momento della morte nel 1374. Tanto che il proprietario della casa, Girolamo Gabrielli, nel 1500, anticipando le moderne campagne pubblicitarie, fece mettere nelle stanze del poeta scomparso una gatta imbalsamata, ancora oggi gelosamente custodita con una lapide latina opera di Antonio Querenghi. E seppur immutato il potere evocativo che la casa suscita in sé, il felino del Petrarca è la principale attrattiva di Arquà. Questo è solo uno dei diciassette suggestivi luoghi gatteschi d’ Italia contenuti nella Guida di viaggio per gattofili di Barbara Bellinelli (edito da Mursia 150 pp. 12 euro). Da Nord a Sud per esplorare il misterioso mondo delle piccole tigri, oggetti di culto da parte dei pagani e assenti nella Bibbia, trovano difficilmente spazio tra gli autori cristiani, se non per ricordarci le loro abilità di cacciatrici. Nella scultura romanica e gotica l’ unico esempio di gatto pietrificato è rappresentato dalla Cattedrale di Bitonto. Una bifora della facciata esterna ha come altorilievo un gatto, anche se assai stilizzato. Per trovarne un altro di pietra oc corre andare alla Villa medicea di Castello a Firenze, nello zoo pietrificato diretto dal Vasari. Nella Pinacoteca di Bologna invece troviamo il bellissimo dipinto Donna con rosa e gatto, una tra le più seducenti raffigurazioni femminili dell’ artista Giuseppe Maria Crespi, detto lo Spagnolo, che usa le spine e gli artigli per mettere in guardia dai pericoli dell’ amore. Altro quadro con gatto che si può visitare a Bologna, alla Fondazione Zeri, è del Maestro della Pala Sforzesca, Madonna con bambino e gatto del XV secolo.
Mentre bisogna spingersi fino a Firenze per ammirare altri felini di Crespi: La famiglia del pittore, (l’ animale gioca con uno scaldino) e la Donna che lava i piatti (il gatto dorme davanti al camino), conservati alla Galleria degli Uffizi. Qui è esposta anche La Madonna della gatta, dipinta da Federico Brocci nei primi anni del Seicento ed è considerata un capolavoro dell’ artista e della pittura italiana tardo cinquecentesca. Questo quadro ha avuto una fortuna alterna, spesso al centro di dibattiti religiosi. La Chiesa non deve aver gradito il primo piano occupato da un gatto in asse col Bambino. Ha fatto discutere anche L’ Annunciazione di Lorenzo Lotto, da visitare al Museo civico Villa Colloredo Mels a Recanati, datata 1543. Tra l’ inginocchiatorio sul quale è posta la Vergine, la clessidra appoggiata sullo sgabello, i libri sullo scaffale fa capolino un micio al centro della scena, spaventato anch’ esso dall’ arrivo inaspettato dell’ Angelo. Chi vuole immergersi in un paese totalmente felino, deve fare un salto a Brolo: vi guiderà un simpatico musetto di micio, disegnato sulla segnaletica lungo la strada sulla sponda occidentale del lago d’ Orta. Si trova nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte. La piccola frazione cusiana porta con sé la memoria di quanto accaduto nel suo passato più remoto, quando gli abitanti ingaggiarono un nutrito gruppo di gatti per liberarsi dei topi che infestavano il borgo. Fu così che il felino divenne simbolo e mascotte di Brolo, tanto che ancora oggi fa bella mostra di sé su piastrelle e murales. E se vicino a Piazza Venezia, a Roma, c’ è Via della Gatta, il cui nome viene da una piccola statua in marmo a grandezza naturale di un micio, la leggenda narra che proprio all’angolo con Palazzo Grazioli e Palazzo Pamphili, una gatta in carne e ossa scorse un bambino sporgersi pericolosamente da un cornicione e iniziò a miagolare per attirare l’ attenzione della madre che lo mise in salvo. Si narra anche che, nella direzione dell’ aniamle, posto sul primo cornicione dei palazzi, dovrebbe essere sepolto un tesoro, ma finora nessuno è riuscito a trovarlo.
Saranno i siti egiziani , saranno le molte gattare presenti che si occupano di nutrire e curare i tanti randagi, ma nella Capitale esistono numerose tappe feline. Non a caso, fin dall’ inizio del Novecento i gatti romani furono alimentati con il contributo del Comune che tra le sue voci di bilancio recitava appunto “Trippa per gatti”. Questo fino al 1931, quando l’ allora sindaco Ernesto Nathan per far quadrare i conti tagliò, la trippa scomparve dal bilancio. E si iniziò a dire. «Nun c’ è trippa pe’ gatti». Bisogna spingersi fino a Napoli, al Museo Archeologico Nazionale, per vedere il famoso mosaico Xenia proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei. Il soggetto è un gatto colto mentre afferra un volatile. Altra tappa gattesca partenopea è il Chiostro del Monastero di Santa Chiara: le colorate maioliche del Settecento sono animate dalle stupende tigri in miniatura e da una suora gattara che le nutre. Altro itinerario interessante: l’ Accademia dei gatti magici, fondata nel 1984 a Fiesole, da Giordano Alberghini, è un centro di diffusione della cultura del gatto, con una biblioteca chiamata Felinoteca e una Pinacoteca Felina che raccoglie quadri, disegni, incisioni, sculture, ceramiche con il “tigrotto”. Su Pallosu, in questo microscopico borgo in provincia di Oristano, la popolazione felina supera di gran lunga il numero di abitanti umani. I gatti qui amano la spiaggia e sdraiarsi vicino alla battigia. Lo fanno dal 1947, è documentato. Sono possibili visite guidate di trekking e di cat watching. Tour per piccoli gruppi anche nella Venezia piena di gatti, famosi da tempi storici. Si ricordano la gatta del doge Francesco Morosini, che lo seguiva dappertutto, e il gatto dell’ ottocentesco Caffè dei Frari, zona San Polo, di fronte alla facciata principale dela chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari. Questo gatto, famoso per la sua bellezza, si chiamava Ninni e visse quattordici anni. Quando morì, nel 1894, ebbe l’ onore di una scultura commemorativa. Imperdibile la Cena in casa Levi (rivisitazione de L’ ultima cena) di Paolo Veronese, del 1573, al Polo museale del Veneto. Con il gatto sotto la figura di Cristo. Un capolavoro.
Daniela Mastromattei
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