Milano 6 Gennaio – Mentre al di là delle Alpi si prova in sordina a riesplorare “Framania”, il vecchio progetto di integrazione tra Francia e Germania, l’Italia è ufficialmente entrata in campagna elettorale. Ci è entrata un po’ alla disperata: ranghi ancora sciolti, alleanze in divenire, idee poche e alquanto confuse spaziando dai temi socioeconomici a quelli europei. Tanto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella si è sentito in dovere di richiamare tutti i contendenti alla concretezza, a presentare programmi chiari ai cittadini chiamati alle urne il 4 marzo prossimo.
Anche se per una volta, sollevando lo sguardo dall’Italia all’Europa si vede il futuro di entrambi avvolto dalla stessa coltre di nebbia, sarebbe pericoloso consolarsi con una sorta di mal comune mezzo gaudio.
Perché è vero che da oltre tre mesi la Germania di Angela Merkel non riesce a darsi un nuovo Governo ed è vero che in Europa i problemi di incompatibilità di visioni e di interessi restano profondi insieme alla diffusa fragilità di consenso verso le varie classi dirigenti ma è anche vero che, proprio per questo, questa non è un’Europa solidale e disposta a togliere le castagne dal fuoco ai suoi paesi membri più deboli.
Ciascuno deve provvedere da solo: soltanto chi si dimostrerà forte e credibile, avrà voce in capitolo e un posto di prima fila nella cabina di regia della nuova Unione. La scelta non è un optional: da oltre vent’anni la politica europea fa e disfa politica, economia e finanze italiane, anche se troppo spesso si finge di non saperlo subendone poi tutte le conseguenze negative. La Gran Bretagna, che non è nell’euro, sta del resto scoprendo a sue spese i tormenti e soprattutto i costi astronomici di un divorzio improvvisato e mal calcolato.
Dopo la primavera dell’esaltazione collettiva seguita alla vittoria dell’europeista Emmanuel Macroni in Francia, l’Unione è ricaduta in stand-by aspettando il nuovo Governo a Berlino. Dietro le quinte però progetti e contatti diplomatici continuano. Con un’ambizione che potrebbe persino travalicare il semplice rilancio del motore franco-tedesco per farsi “Framania” con la graduale integrazione di economie, norme sociali, fiscali, societarie e mercati energetici di Francia e Germania.
L’idea è vecchia e finora fallita. Ma i tempi cambiano, sono global e l’America si allontana.
Nel nuovo contesto mondiale, nessun Paese da solo può essere un’isola felice, meno che mai le piccole e medie potenze europee demograficamente in declino e prese in mezzo tra Oriente rampante e Occidente in perdita di coesione interna.
Per ora tra Parigi e Berlino non c’è nulla di concreto se non una risoluzione comune dei due parlamenti che, in vista del 55esimo anniversario del Trattato dell’Eliseo, sarà approvata il 22 gennaio. Vi si auspica la rapida integrazione tra i due Paesi partendo da economia, politica verso le imprese, statuto dei diritti sociali, trasposizione comune delle norme Ue.
Davvero è l’ora di Framania? Per ora, con la Germania senza governo e la Francia frustrata nel suo europeismo d’assalto che non riesce a fare convinti proseliti, il peso dell’iniziativa non va molto oltre le speranze di alcuni.
Senza contare che, se si dovesse realizzare, avrebbe un impatto dirompente su un’Europa a 27, contagiata da crescenti nazionalismi e già molto diffidente verso ogni tipo di direttorio. Figuriamoci verso un colosso franco-tedesco inevitabilmente più egemone che mai: dentro l’Eurozona e dentro l’Unione.
A frenare il progetto, che avrebbe il passo rivoluzionario che i tempi oggi imporrebbero a tutti e soprattutto all’Europa, ci sono comunque seri problemi endogeni, a cominciare dalla cultura europea dei due Paesi: la Francia di Macron deve ancora dimostrare di aver superato il sovranismo, la Germania, tradizionalmente federalista, deve provare di restarlo nonostante e contro il nazionalismo montante dell’AfD con i suoi 93 deputati al Bundestag. Il tutto tralasciando la diversa cultura sindacale e d’impresa, gli interessi economici spesso conflittuali, i diversi approcci sia alla riforma dell’eurozona, uno più sensibile alla crescita economica, l’altro alla disciplina dei conti pubblici, sia alla prossima equazione del bilancio pluriennale Ue che esprimerà nei fatti la volontà di rifondare e rilanciare davvero una nuova Unione, Grande tra i Grandi.
Che si faccia o no, il solo fatto che si torni a sussurrare di Framania pone l’Italia, terza economia e secondo debito dell’euro, di fronte a una sfida esistenziale senza precedenti. Facendo i salti mortali a suo tempo siamo entrati nell’euro. Però non abbiamo approfittato degli anni favorevoli e della manna dei bassi tassi di interesse per riformare l’economia e abbattere il debito pubblico, che non ha cessato di aumentare.
Oggi ci ritroviamo con un Paese più euroscettico, con l’economia che riparte ma a un tasso di crescita che resta la metà della media di quello degli altri, con la prospettiva di una politica monetaria della Bce meno accomodante e di una graduale risalita dei tassi di interesse, con la prevedibile pressione dei mercati sul nostro iper-debito e relativi costi aggiuntivi. In breve, con la necessità urgente di completare le riforme strutturali nel momento peggiore e quasi certamente politicamente meno sostenibile.
Eppure saremo costretti ad agire: per non farci stritolare dai mercati o marginalizzare dai partner. Dopo la caduta del Muro di Berlino e con l’avvento del neo-isolazionismo americano, è diventato meno centrale il valore strategico della portaerei Italia nel Mediterraneo. Per non finire alla deriva verso Sud, dovremo remare contro corrente, contro la nostra corrente interna, verso Nord.
Ci sarà un prezzo da pagare. Oggi il debito tedesco sfiora i 24mila euro pro capite contro i 37mila del nostro. Rispetto al Pil, il primo viaggia ormai verso il 60%, il nostro si attesta sul 132%. Ma se in Germania ora cala di 78 euro al secondo, quando nel 2009 saliva di 4.400 al secondo, in Italia non cessa di salire. Passa anche e soprattutto di qui la nostra rimonta tra i protagonisti europei.
Adriana Cerretelli (Il Sole 24 Ore)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845