Donne, in 25mila lasciano il lavoro per un figlio, ma in 5,5 milioni rinunciano alla maternità

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Milano 11 Gennaio – DISCRIMINAZIONE DELLE DONNE IN ITALIA

Trentamila donne, lo comunica l’Inps, si sono licenziate, nel corso del 2016, delle quali solo 5mila per cambiare azienda. E le altre 25mila? Hanno avuto un problema: l’impossibilità di fare il mestiere di madre. La mancanza di aiuti, dall’asilo a un sostegno quotidiano, sui quali fare affidamento durante l’orario di lavoro. Una violenza bella e buona, certificata da questi dati: alle donne che lavorano, in Italia, non è consentito fare figli. E questo spiega, meglio di qualsiasi indagine sociologica, il motivo per il quale 5,5 milioni di donne italiane (il dato è dell’Istat), tra i 18 e i 49 anni, non diventano madri. Non possono permetterselo.

Nel frattempo ci sono sempre più donne che reggono la baracca: in 1 milione di famiglie italiane, anche per effetto della Grande Crisi, lavorano soltanto le donne; le stesse che poi, in casa, si fanno carico del peso quasi integrale del lavoro domestico e della cura dei figli (72 per cento rispetto a un misero 28 per cento di maschietti pronti a collaborare) e le stesse che ingoiano, sempre sul lavoro, stipendi più bassi rispetto agli uomini, circa il 30 per cento. Una somma di sprechi.

DISCRIMINAZIONE DONNE SUL LAVORO

In Italia i nanetti della nostra politica non fanno altro che promettere tutto ciò che serve davvero alle donne per conciliare lavoro, casa e famiglia: dagli asili agli aiuti a domicilio alle persone anziane (anche questo è un lavoro monopolizzato dalle donne), dai bonus per la maternità al congedo parentale per i padri. Ma nei fatti, e qui parla sempre l’Inps, l’orrenda discriminazione, spreco assoluto per il sistema Paese, non fa altro che peggiorare. E nel 2016 le dimissioni dal lavoro delle donne che hanno avuto la sciagurata idea di fare un figlio, sono aumentate del 44 per cento. Un balzo record, negli ultimi decenni.

D’altra parte l’Italia è al posto numero 57 nella classifica mondiale per numero di donne presenti in Parlamento. Certo, la classifica è guidata dal Rwanda (56 per cento), ma nei primi posti ci sono anche paesi europei, il solito Nord Europa, con Svezia, Norvegia e Finlandia dove le donne parlamentari rappresentano circa il 45 per cento del totale.

DIMISSIONI DONNE IN ITALIA

In realtà, nella Bella Italia, la beffa delle donne che continuano ad essere discriminate, un aggettivo forte ma giusto, non è un’esclusiva del girone della politica, della solita casta che vuole declinare il suo potere prevalentemente al maschile. La Banca d’Italia, per esempio, ha certificato che nonostante le nuove norme sulle quote di genere, approvate già nel maggio del 2012, nelle imprese italiane con oltre 10 milioni di euro di fatturato le donne presenti nei consigli di amministrazione rappresentano appena il 14,5 per cento del totale. Erano il 13,7 per cento nel 2008: dunque il progresso è pari quasi a zero. Al contrario, quando bisogna sostituire un consigliere di amministrazione di sesso femminile, nell’85 per cento dei casi a una donna subentra un uomo.

DISCRIMINAZIONE DELLE DONNE

Stessa, e ancora più stonata, musica, nei piani alti della pubblica amministrazione, nelle grandi istituzioni dello Stato, nelle sfere del potere accademico e scientifico. Pensate che solo 2 rettori su 83 sono donne, e su 18mila docenti appena 2.800, il 15,9 per cento, sono di sesso femminile. E mentre la maggioranza degli studenti laureati in materie scientifiche sono donne, neanche una, dico una, è riuscita ancora a diventare presidente di un grande ente di ricerca. All’università, con lo status di studente, le donne sono molto brave e si vedono in prima fila, ma appena si parla di carriera e di potere, scompaiono

DISCRIMINAZIONE DONNE OGGI

La Banca d’Italia ha anche documentato che se solo riuscissimo a portare la quota del lavoro femminile al 60 per cento, come fissato dagli accordi europei di Lisbona, il nostro pil farebbe un balzo in avanti del 7 per cento. Non avremmo bisogno di nulla per trovare i soldi per fare gli investimenti, rimettere in moto l’economia e ridurre le tasse. Con le donne al lavoro, come nel resto d’Europa, saremmo già fuori dal tunnel.  E invece alle donne che fanno figli, consegniamo un magnifico regalo: una lettera di dimissioni dal lavoro. (Tg.com)

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