Il nostro sistema giudiziario è spettacolare. Questo per molti aspetti, ma in questi giorni ci è dato di ammirarne un lato poco conosciuto. Dunque, come voi saprete, in Italia le pene non si scontano consecutivamente. Se commettete dieci reati diversi non sconterete prima la pena di uno, poi di un altro e così fino ad averle scontate tutte. No. Ci si fa quella del reato più grave, quindi la più lunga, e le altre vanno in parallelo. Ovviamente la cosa non è così semplice e ci sono diversi criteri per evitare sconti troppo elevati. Il problema è che, nel caso di Kabobo, c’è una concreta possibilità che gli otto anni per i tre tentati omicidi passino in cavalleria, mettendosi a fianco alla condanna principale a 20 anni, invece che seguirla. E questo, se permettete, lo trovo molto grave. Quegli otto anni sono il pegno simbolico che lo Stato tributa alle vittime della ferocia e disumanità di un mostro che sapeva, esattamente, cosa stesse facendo e che lo voleva. Qui la ricostruzione della sentenza, ripresa da Repubblica:
Aveva colpito tutte le vittime di quel giorno puntando direttamente alla testa, riuscendo ad uccidere diverse persone e se l’effetto letale non si era sempre verificato – si legge nella sentenza depositata oggi – ciò era stato dovuto a fattori indipendenti, come una tempestiva reazione o una fuga”. Il “dolo omicidiario”, osservano i giudici del ‘Palazzaccio’, “era evidente e il contesto appariva inequivoco”.
Dunque, correttamente a Kabobo, secondo la Corte, non sono state concesse le attenuanti generiche data la “gratuità delle condotte, la causalità delle vittime, il numero degli episodi e l’allarme sociale cagionato, fatto denotante un’intensa pericolosità sociale”. La quantificazione della pena è stata valutata, ricorda la Cassazione, sulla base dell'”oggettività di una connotazione altamente brutale e raccapricciante dell’azione dell’imputato”, nonchè sul “peso della volontà ideativa ed attuativa, rimasta inalterata a fronte della capacità di intendere grandemente scemata”: in altre parole, Kabobo “ha dimostrato spazi di orientamento ed autodeterminazione sufficienti a perseguire obiettivi criminali lucidamente individuati e prescelti, ponendo in essere una condotta organizzata e protratta nel tempo”.
In sintesi, era capace di intendere e volere. Ciononostante c’è il rischio concreto che quegli otto anni non li sconti mai. La sua richiesta di averli in parallelo agli altri è stata rigettata, perché il giudice competente è quello dell’esecuzione penale. Che, speriamo, nei limiti della legge e del diritto, vorrà concedere giustizia alle vittime. Sempre che il nostro sistema giudiziario glielo consenta, naturalmente.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,