L’uomo delle caverne mangiava renne e dipingeva cavalli.

Zampe di velluto

Preistoria, come indica il nome stesso, è il periodo che precede la storia. Comprende un lunghissimo periodo di tempo che si conclude con la comparsa della scrittura. Si divide in tre principali periodi: il paleolitico, il mesolitico e il neolitico. Il rapporto uomo-cavallo nasce durante il paleolitico, ovvero  proprio agli arbori della civiltà umana. Si tratta soprattutto di un rapporto simbolico che è ampiamente documentato nell’arte rupestre. Nelle profondità di spelonche o in luoghi di difficile accesso sparse per tutta l’Europa, furono raffigurati cavalli, bisonti, rinoceronti, tori, mammut, e gatti selvatici ottenuti con impasti di terre, grasso e sangue animale. Molto raramente tali fregi di altissimo valore artistico sono stati eseguite nei pressi dell’ingresso delle caverne, dove la luce riusciva a illuminare il lavoro. Ciò significa che gli artisti disponevano di illuminazione artificiale. Diversi ritrovamenti archeologici documentano quali fossero i mezzi utilizzati: lucerne di pietra alimentate da grasso animale con uno stoppino fatto di licheni, muschio, corteccia o ramoscelli. Sono numerose le lucerne di questo tipo rinvenute nelle grotte. Per facilitarsi il lavoro, illuminazione a parte, l’artista sceglieva accuratamente il luogo in cui dipingere: teneva conto della morfologia della caverna sfruttando sporgenze o fessure che potessero ricordare forme o parti del corpo da raffigurare.

L’abilità tecnica con cui quelle ignote mani paleolitiche hanno tracciato profili di animali o lasciato le proprie impronte in quegli antri oscuri consegnando il tutto alla posterità, è sorprendente: ha ben poco di primitivo. Si nota tridimensionalità, prospettiva, maestria nell’uso del colore e nel delineare le forme. Tanto più è sorprendente se si considera che i dipinti venivano eseguiti in posizioni scomode, usando materiali deperibili e illuminati dalla luce tremolante delle lucerne o magari di fiaccole.

Franco Anselmi
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L’animale più rappresentato nell’arte preistorica è proprio il cavallo: è presente quasi in tutti i complessi, seguito dal bisonte e dall’uro, ora estinto. Si tratta di animali forti; ma innocui per l’uomo. Sono rare le figure di pesci e uccelli; così come le figure di antilopi, cinghiali e volpi. Assenti del tutto sono invece i riferimenti naturalistici quali fiori, alberi, o il paesaggio nel suo complesso. In quanto alla figura umana, è presente; ma rarissima: spesso è solo abbozzata. Ne consegue che sono rare anche le scene vere e proprie di caccia.

L’interpretazione dell’arte parietale come espressione di riti connessi alla magia propiziatoria della caccia, è ormai decisamente respinta.  Gli animali non erano raffigurati sulle pareti delle grotte per poterne garantire la cattura. Altrimenti, le pitture dovrebbero raffigurare gli animali che effettivamente l’uomo paleolitico cacciava. Invece, l’archeologia ci dimostra il contrario: in base all’analisi dei ritrovamenti ossei fossilizzati, che costituirono gli scarti dei pasti di quegli uomini delle caverne, fu la renna il loro cibo principale. Di conseguenza, fu anche la specie più cacciata. Eppure, la renna figura assai raramente tra gli animali dipinti o incisi. Il cavallo è invece raffigurato spessissimo, nonostante fosse un animale poco ricercato per la sua carne: gli artisti delle caverne mangiavano dunque renne ma dipingevano cavalli.

Franco Ansemi https://www.facebook.com/franco.anselmi.1

Il perché poi dessero poca importanza alla figura umana, e tantissima a quella del cavallo, ci è ignoto; ma è inutile affannarsi alla ricerca di significati simbolici relativi alle immagini raffigurate: le pitture rupestri rappresentano la realtà, così come appariva agli occhi di quei primitivi artisti. Gli autori dipingevano ciò che realmente vedevano: la natura che li circondava e gli animali che vi abitavano. Non inventavano nulla. Neppure quei cavalli dal manto bianco puntinato di nero raffigurati nelle grotte di Pech Merle nella Dordogna, in Francia. Questi, ritenuti fino a poco fa frutto della fantasia degli artisti preistorici, esistevano davvero nel Paleolitico.

L’arte nasce con l’uomo, e il cavallo è il soggetto principale dell’arte primitiva.  Il perché non è difficile da immaginare: da sempre il cavallo affianca l’uomo, ricoprendo un importante ruolo. Forse, in principio solo simbolico. Ma poi via via sempre più amichevole e di collaborazione. L’arte parietale, e dunque l’importante rapporto tra l’uomo e il cavallo, è ampiamente documentata sia nella regione Franco-Cantabrica, nella Francia Sud-Occidentale (Aquitania e Pirenei), sia nella Spagna Settentrionale (Asturie, Cantabria, Paesi Baschi), dove si sono scoperte più di 160 grotte con capolavori del paleolitico. Al di fuori della Francia e della Penisola Iberica è molto difficile trovare grotte con arte rupestre paleolitica.

In Italia ne abbiamo una decina di minore importanza tra cui: la Grotta del Caviglione ai Balzi Rossi; la Grotta Paglicci nel Gargano; la Grotta Romanelli nella Penisola Salentina; il Riparo Romito di Papasidero in Calabria; Cala Genovese sull’isola di Levanzo; l’Addaura e la Grotta Niscemi presso Palermo; la Grotta Fumane sui Monti Lessini. Altri esempi di arte parietale paleolitica in grotta li troviamo negli Urali, nella Valle di Bielaya in Moravia, in Ungheria e in Romania.

I siti più famosi e significativi sono:

Caverne di Chauvet (33.000-29.000 anni fa)

Cosquer (25.000-20.000 anni fa)

Lascaux (19.000-15.000 anni fa) – Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne nella Francia sud-occidentale nel dipartimento della Dordogna. Il sito si sviluppa su una zona di 250 metri con un dislivello di 30 ed è strutturato con una serie di gallerie. E’ considerato il capolavoro dell’arte rupestre paleolitica per la varietà dei soggetti, l’espressività e la grandiosità delle figure. Il complesso, denominato “La Cappella Sistina del Paleolitico”, fu scoperto nel 1940 da quattro adolescenti francesi. Tra gli animali rappresentati campeggiano le gigantesche figure dei tori contornati di nero, che equilibrano la contrapposta mandria di cavalli. Alla convergenza dei due branchi si trova un gruppo di cervi dipinti in ocra rossa e gialla. La raffigurazione è straordinaria per la presenza della figura umana, estremamente rara. Nel 1946 le Grotte furono aperte al pubblico, ma subirono un grave danno a causa dell’anidride carbonica prodotta dalle oltre mille persone in visita al giorno. Furono poi chiuse nel 1963 e i dipinti restaurati.

Altamira (15.000- 11.000 anni fa)

TRATTO DAL LIBRO “CAVALLI E RONZINI” di Michela Pugliese

https://www.hoepli.it/ebook/cavalli-e-ronzini/9788827805336.html

Sito https://gocciadinchiostro.wordpress.com/

 

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