Luigi Di Maio, l’uomo qualunque che si sente Obama

Attualità

Milano 23 gennaio – A volte una piccola fuga nella fantasia aiuta a capire la realtà. Se i 5 stelle saranno il primo partito, loro dicono che lo saranno, in teoria avremo Giggino Di Maio presidente del Consiglio e chissà, dopo alcuni anni di onorato servizio può darsi che incontri, in quei giri degli ex potenti, Barack Obama. E a quel punto quanto a bravura sarà Barack a doversi inchinare a Giggino. L’ex inquilino della Casa bianca ebbe l’abilità e la fortuna di diventare presidente dopo solo tre anni come senatore di prima nomina (il mandato senatoriale ne dura sei), un caso senza precedenti di breve permanenza preventiva alla ribalta nazionale, e a 47 anni e sei mesi fu uno dei più giovani presidenti degli Stati Uniti.

ANCHE OBAMA VENIVA DAL NULLA. Obama veniva dal nulla, come lui stesso, seccato, ebbe a ricordare al premier israeliano Benjamin Netanyahu che voleva spiegargli le complessità del Medio Oriente: vengo dal nulla, disse, e sono qui alla Casa bianca, e pensi che non abbia capito il Medio Oriente? Il che non è molto logico, ma qui interessa il «vengo dal nulla», cioè da un’infanzia modestissima nelle Hawaii e altrove affidato a nonni generosi, più altro girovagare sempre modesto. Poi Columbia e la Law School di Harvard, che modeste non sono, e aspirano a essere le fabbriche della leadership del Paese. Un po’ polli da batteria, ma di rango.

Ma un Giggino a Palazzo Chigi in confronto avrebbe avuto il turbo. Prima di tutto perché la vera distanza fra Pomigliano d’Arco e Roma è ben superiore a quella fra Honolulu e Washington Dc, nonostante i chilometri reali siano appena 224 contro ben 7.700. Poi perché non avrebbe avuto bisogno di nessuna scuola dove insegnano a usare, politicamente, coltello e forchetta, perché in lui queste erano doti innate, tant’è vero che ha seguito alcuni corsi di ingegneria alla antica scuola napoletana dedicata a Federico II, poi alcuni corsi di Diritto così da avere due diverse prospettive, ma non ne ha concluso niuna e, forte di 189 voti alle “parlamentarie” 2013 del Movimento, entrava come secondo degli eletti pentastellati in Campania. Infine Giggino surclasserebbe Barack perché avrebbe fatto a 31 anni ciò che Barack è riuscito a fare a 47. Le partite e i pesi specifici nazionali sono ben diversi, ma anche l’anagrafe è diversissima.

DI MAIO BRAVO GALLEGGIATORE. Scherzi a parte, Di Maio qualche qualità la deve pur avere, fosse solo magari quella dell’abile galleggiatore. Il suo numero costante, in modo ancor più rituale di quello degli altri pentastellati che suonano comunque lo stesso ritmo, è quello di enunciare uno o due errori governativi, presunti e più spesso veri, o due cose che andavano fatte e non lo sono state, e dire che i 5 stelle le avrebbero fatte e, se fatte, sarebbero molto meglio e senza errori. Come, con che soldi, da chi, con che tempi e con che garanzia dei risultati ve lo diremo alla prossima puntata. E un quarto degli italiani, grossomodo, applaude, stando ai sondaggi. I pentastellati in genere, e Di Maio in particolare, non riescono a cancellare la sensazione di carenza di informazioni, vedono e parlano a senso unico. Del resto come il loro vate Grillo, che di frottole ne ha sempre sparato a getto continuo insieme a tante verità – ma lui fa il comico – , non si sa quanto conoscono di storia patria, né tantomeno che cos’è il Pil, quando questa misura dell’economia è stata introdotta e perché, e che cosa effettivamente misura.

Ci sono poi a volte incertezze con il congiuntivo e il condizionale, ma la loro forza è che a Montecitorio sono in buona compagnia. Qualcuno si ostina a definirlo «il miglior club del Paese», ma essendone l’immagine si può dire che non è di gran classe. Lo è il trattamento, non si paga iscrizione anzi si viene profumatamente pagati, con ben pochi confronti con altri templi mondiali della democrazia. Barack da senatore guadagnava circa 170 mila dollari l’anno, 142 mila euro al cambio attuale circa, mentre un senatore italiano ne guadagna circa 200 mila, di euro. Il Congresso americano ha tutte le sue miserie umane e non pochi interventi lo dimostrano, ma il parlamento italiano quanto a modestia, cioè inadeguatezza, (non sempre, certo), sa fare di più.

LA CASTA ITALIANA, ROBA DA SATRAPIA. Obama come ex presidente americano ha una pensione di 203 mila dollari annui, circa 170 mila euro. Un ex presidente della Repubblica italiano non ha come tale la pensione ma lo stipendio di senatore a vita che è di circa 200 mila euro più una cospicua serie di benefit e personale a suo servizio ben superiore a quello dell’ex presidente Usa, tra cui un’auto di servizio, anche per la vedova e se questa non c’è per il figlio primogenito, singolare elargizione da satrapia mediorientale. Lasciamo stare i giudici costituzionali, vetta assoluta del malcostume dell’élite nazionale (e ci fanno anche la predica, i giudici e gli ex giudici!), che guadagnano il doppio del presidente della Repubblica e spesso dei loro colleghi di altri Paesi, Stati Uniti compresi. Ed è anche per questo che abbiamo i grillini.

Avendo finora i grillini avuto notevole successo di pubblico, anche se nessuno riesce a prevedere quanto successo di voti avranno il 4 marzo (ma saranno, per male che vada, fra le prime tre formazioni), i potenziali alleati non mancano. Matteo Salvini per esempio, che da ultimo ha rispolverato la retorica anti Ue e anti euro, per un po’ messa in sordina dopo che sull’euro Marine Le Pen ha perso le presidenziali francesi del 2017. Il suo scudiero e ora uomo dell’economia della Lega, Claudio Borghi Aquilini, non fa che sparare contro Bruxelles ed esaltare un’Italia «che fa da sé» finalmente indipendente, quasi noi fossimo amministrati come la Svizzera, che peraltro è inserita nel sistema Ue al cui bilancio versa varie centinaia di milioni di franchi all’anno per i vantaggi che riceve dal mercato unico e dalla generale stabilità europea. Borghi non ha capito che, da soli, ci restano il Maghreb e il Medio Oriente.

LIBERI E UGUALI, RISERVE DEI PENTASTELLATI. E poi ci sono i Liberi e Uguali, vecchia formula bolscevica degli inizi, che pensano come il paguro di poter svernare nella mega conchiglia grillina vincitrice, offrendo una expertise di cui ci sarà bisogno. È assai peggio di quando nel 2013 Pierluigi Bersani cercava l’appoggio del M5s. Ora sono Grasso e Bersani a essere pronti a fare da rincalzi. Che triste fine. Siamo poi alle contraddizioni eclatanti. I grillini, partiti come principio costituente dalla superiorità dell’uomo qualunque che trova nella piattaforma internet Rousseau la sua casa dove scrivere leggi e fare altre bellissime cose (questo alla fine è il populismo, todos caballeros), sono infatti in cerca di talenti. Ma guarda! Li trovano fra accademici, giornalisti, sportivi e, dicono, militari, come noto il meglio del Paese, soprattutto accademici (veri o presunti) e giornalisti (anche qui veri o presunti). Ma non dovevano essere la superiorità dell’uomo qualunque sulle élite o aspiranti tali? E alla fine Giggino Di Maio, abbottonandosi la giacca con un gesto ricorrente che è tutta una cultura, potrà sfoderare il suo sorriso a 60 denti e dire che con loro è tutto diverso. Già, per lui, più bravo ancora (lo sarebbe se arrivasse a Palazzo Chigi) di Barack Obama. Mario Margiocco (Lettera 43)

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