Berlusconi, nel segno della chiarezza e dell’empatia

Attualità

Milano 25 Gennaio – Il “professore” Silvio Berlusconi, docente honoris causa in “comunicazione”, ha impartito ai protagonisti della scena politica l’ennesima dimostrazione di come si parli agli elettori.

Nelle recenti apparizioni televisive il vecchio leone di Arcore ripete ossessivamente alcune semplici proposte d’immediata comprensione perché vengano agevolmente metabolizzate dal grande pubblico delle tivù generaliste. Lo spartito però non è mai lo stesso. Di volta in volta il “Cavaliere” aggiunge al plafond preordinato alcune varianti, sotto forma di sfumature, che sono chiavi di lettura dell’approccio metodologico alla sua offerta di governo. L’ultima, in ordine di tempo, di queste “variazioni sul tema” riguarda il rapporto con l’Europa. Nella scissura che si è determinata tra coloro che – vedi la sinistra renziana – subiscono passivamente le scelte dell’establishment eurocratico e coloro che invece – vedi la Lega e i populisti in generale – vorrebbero giungere a una rottura con i poteri forti di Bruxelles, Berlusconi s’incunea per farsi fautore della “terza via” che poi è quella dell’arma del dialogo a oltranza. Come a dire: all’Europa non ci si piega e con l’Europa non si rompe, ma si discute. Che l’Italia abbia maturato in questi anni un credito di ascolto e di comprensione presso i partner dell’Unione è alla luce del sole. Da Mario Monti a Paolo Gentiloni, passando per Enrico Letta e Matteo Renzi, i nostri leader di governo non si sono mostrati all’altezza nel fronteggiare la pretesa egemonica dell’asse carolingio franco-germanico. Ciononostante, troppo grande per essere ignorato, troppo piccolo per averne paura, il nostro sistema socio-economico resta per i padroni del vapore europeo una brutta gatta da pelare.

Finora la strategia dell’imbrigliamento concretizzatasi nell’imposizione di lacci e lacciuoli di natura normativa e regolamentare ha funzionato. Una prova? Il nostro Prodotto interno lordo ha ricominciato a crescere ma meno di quanto avvenga nel resto d’Europa. Siamo certi che l’affanno patito dal nostro sistema produttivo per le troppe regole che lo soffocano dispiaccia agli altri partner europei, in particolare alla Francia e alla Germania? Se attraverso il giogo di Bruxelles si riesce a tenere a freno il cavallo della ripresa economica italiana qualcuno ne guadagna. E quel qualcuno non sono certo gli italiani. Tale deprecabile sudditanza genera un senso di frustrazione nella popolazione nostrana che, prevedibilmente, inciderà sugli esiti della campagna elettorale in corso. Non è un caso che il Partito Democratico, pur continuando a vantare mirabolanti successi nell’azione di governo, perda appeal mentre i populisti, che minacciano fuoco e fiamme contro Bruxelles, crescano nel consenso. Per venirne fuori in maniera sensata si appalesa la “terza via” di cui Berlusconi si fa, anche nella fisicità dei gesti, incarnazione ancor prima che interprete. L’idea che il Cavaliere propugna, già sperimentata con successo in passato dai suoi governi, è di elementare schematicità: sparigliare il tavolo chiamando in gioco tutti i partner dell’Unione nelle scelte che, se autoconfinata all’isolamento, la “piccola-grande” Italia si troverebbe a subire. Ai telespettatori Berlusconi fa due esempi chiarificatori di come dovrebbero o non dovrebbero agire le dinamiche delle relazioni interstatuali in ambito Ue.

Primo caso, positivo: la nomina di Mario Draghi al vertice della Banca centrale europea nel 2011. Racconta Berlusconi che la tedesca Angela Merkel aveva un suo candidato. Lui, da sponsor di Mario Draghi, avviò una serie di contatti intensi con i rappresentanti dei governi degli altri Paesi partner con il risultato che, al momento finale del voto, con il candidato tedesco si schierarono soltanto la proponente signora Merkel, il francese Nicolas Sarkozy e il premier finlandese, il “falco” JyrkiKatainen. Tutti gli altri, invece, diedero via libera alla nomina di un italiano al vertice della Banca centrale.

Secondo caso, negativo: la ricollocazione dell’Agenzia europea del farmaco. Lo scorso novembre la Ue ha dovuto scegliere la città presso cui trasferire la sede dell’Ema dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Tra le candidature più accreditate vi era quella di Milano. Non era in gioco soltanto l’immagine del Paese ma anche un rilevante fattore economico. Gli esperti hanno calcolato che l’approdo dell’Agenzia europea in Italia avrebbe comportato un valore aggiunto all’economia locale stimato in circa 40 milioni di euro. La Regione Lombardia, nella circostanza, aveva fatto la sua parte rendendo disponibile e pronto per l’uso il prestigioso grattacielo del “Pirellone”. Bisognava soltanto assicurarsi il voto dei Paesi partner perché l’operazione si concludesse con successo. Invece, il giorno decisivo nel quale andavano al ballottaggio le città di Milano e di Amsterdam nessuno del nostro governo si è preoccupato di farsi vedere nei corridoi di Bruxelles a fare lobbying in favore della candidatura meneghina. Risultato: a parità di voti si è andati a un assurdo sorteggio cosicché l’Ema ha preso la strada di Amsterdam e l’Italia è rimasta a guardare.

Due esempi paradigmatici che la dicono ben più lunga di tanti tronfi discorsi elettorali. Una “sfumatura” consegnata da Berlusconi al dialogo personale, diretto, “fisico” col telespettatore che, bucando il video, prorompe nei soggiorni, nelle cucine, nei salotti e nelle stanze da letto degli italiani. A spiegare con parole chiare cosa avverrà dopo il 4 marzo quando l’affondamento in contemporanea della corazzata progressista e della “nave dei pazzi” grillina sarà cosa fatta.

Stefano Sola (L’Opinione)

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