Lapidi, epitaffi e tombe monumentali: così personaggi come Verdi, Pascoli e Byron hanno onorato il culto funebre di cani e gatti .
Non sono credente ma sono certo che il loro ricordo non possa farmi altro che bene e ho dato degna sepoltura a tutti quelli che ho avuto. Nel duecentesimo dalla nascita di Giuseppe Verdi, tutti hanno ricordato e magnificato la sua vita, la sua immensa grandezza, le sue indimenticabili e spesso corrusche opere liriche. Forse nessuno ha ricordato, tracciandone l’immagine, che il più famoso autore italiano del melodramma, nella sua villa di Sant’ Agata, ha scelto di erigere una semplicissima tomba per ricordare il cane che, durante la sua terza età, gli fu d’immenso conforto. Era una femmina di Maltese di nome Lulù e la piccola colonnina di pietra che ricorda al viandante dove è sepolta, venne costruita per volontà del musicista e di Giuseppina Strepponi.
Sopra è incisa una semplicissima scritta: «Alla memoria di un vero amico». Il culto, o se preferite, il rispetto per gli animali defunti è di antichissima origine e sarà sufficiente pensare alla relazione esistente tra il gatto e il suo proprietario nell’antico Egitto, per capire qual era la devozione che certi popoli provavano nei confronti dei più svariati animali, spesso identificati con divinità che credevano in essi raffigurate. Il culto e il ricordo degli animali perduti è caratteristica dei grandi uomini d’ingegno così come dell’uomo comune. Giovanni Pascoli, già vecchio e malato, subì un duro contraccolpo alla morte del suo adorato Gulì, tanto da scrivere al suo medico: «lo non credevo d’averne a provare così grande dolore! Un cane… Già: un cane che ama non vale infinitamente più di quasi tutti i nostri fratelli uomini che non amano o che odiano o che né amano né odiano?». Gulì fu sepolto in una siepe di bosso da cui spunta una sorta di obelisco a suo ricordo imperituro. L’amore di Lord Byron per il suo Terranova Boatswain è commovente, se solo si pensa che il celebre poeta inglese lo vegliò durante l’agonia mortale dovuta alla rabbia , malattia trasmissibile e letale anche per l’uomo. Nella vetusta abbazia di Newstead nel Nottinghamshire, c’è un monumento funebre più grande di quello dove è sepolto il poeta. Lì riposa Boatswain sotto le parole del più bell’epitaffio che alcuno abbia mai scritto per un cane e che inizia così: «Qui accanto riposa chi aveva bellezza ma non vanità, forza ma non arroganza, coraggio ma non ferocia, ed ogni altra virtù, ma nessun vizio conosciuto all’uomo». La più famosa immagine di Peggy Guggenheim, l’ultima Dogaressa, è quella indelebile di lei che stringe una coppia dei suoi tanti cani Lhasa Apso, mentre naviga sul Canal Grande a bordo della sua gondola privata. Dopo una vita dedicata all’arte moderna, spesso incompresa, si spegnerà nella città di S.Marco con l’espressa volontà di seppellire le sue ceneri accanto a quelle dei suoi adorati Lhasa Apso. Oggi molti proprietari, che non hanno un giardino, chiedono le ceneri del proprio animale defunto per conservarle o seppellirle in un luogo preciso. Che si creda o no, non importa. È il segno del rispetto verso chi mi piace pensare ci attenda davvero scodinzolando, a metà di quel ponte che qualcuno ha chiamato «dell’arcobaleno».
OSCAR GRAZIOLI (Il Giornale)
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