Mitzy me l’ha mandata da lassù il vecchio micio Mozzo. Era l’unico modo per farmi superare la sua scomparsa.
Ci sono giorni insignificanti e momenti che segnano per sempre la vita, coincidenze strane che ci fanno vivere emozioni che non conosciamo fino a quando non le viviamo. Cercavo disperatamente un arcobaleno. Da quando avevo accompagnato il mio amato figlio-gatto Mozzo sul Ponte dell’arcobaleno mesi addietro,desideravo vederne uno. Per me sarebbe stato il segnale che lui era felice. Certo, c’erano altri segni che mi avvertivano della presenza di Mozzo vicino a me. Ma mi mancava l’arcobaleno.Da quando Mozzo non c’era più, continuavo a sentirmi vuota, sola. Avevo così tanto sofferto per la sua scomparsa che non volevo più toccare un altro gatto, convinta che non avrei trovato un altro «Mozzo». Solo ai ricordi permettevo di entrare nel mio cuore e di farmi visita. Così, ogni volta che pioveva,che c’era un temporale, scrutavo il cielo ma non compariva nulla! Fino a quando, dopo mesi,ecco comparire gli arcobaleni. Ogni volta che alzavo lo sguardo verso il cielo ce n’era uno. Era come ci fosse nell’aria qualcosa di elettrico, di magico. Era strano, inconsueto ed inusuale. Ovunque io andassi mi sembrava che fossero lì ad aspettarmi. Ero incredula, era troppo incredibile. Erano segni premonitori, ma di cosa? Ero certa che fosse il segnale che il mio amato gatto mi stava mandando per dirmi qualcosa, ma cosa mi voleva dire? Che il paradiso può essere altrove da dove lo immaginiamo, come in un pomeriggio autunnale?
Così, tra le foglie ingiallite del cortile di casa, all’improvviso è comparsa lei! Un miagolio sofferente proveniva dal parcheggio nel cortile. Dal balcone vidi un gatto che rantolava nel piazzale. Scesi immediatamente a vedere. La mia sensibilità nei confronti della sofferenza dei cuccioli si era acuita con Mozzo e non riuscivo a farmi scivolare addosso la sofferenza quando vedevo un animale che stava male. I vicini di casa mi dissero che era un gatto investito da una macchina per la grande quantità di sangue che aveva perso . Evidentemente non aveva avuto la forza di chiedere aiuto prima, ed ora era li moribondo. Mi dissero di stare attenta, di non avvicinarmi, che non c’era più niente da fare e che avevano chiamato i vigiliper farlo portare via. Mi sentii il cuore strizzato nel vedere quel povero micio in una pozza di sangue, con le zampe posteriori inermi, il bacino schiacciato, una zampa posteriore a penzoloni. Mi avvicinai piano e parlai con dolcezza mentre toccavo il suo mantello. Non solo non mi aveva morso, ma mi aveva guardato e mi aveva parlato, con la misera forza che aveva:«Aiutami,ti prego salvami». Non appena avevo incrociato il suo sguardo implorante e avevo toccato quel corpicino così magro, quel fagottino così delicato, era scattato in me l’istinto di mamma gatta. Era una gatta! No! Non l’avrei lasciata li ad aspettare la morte! Dovevo portarla subito dal veterinario . Avevo visto nei suoi occhi tutta la sua vita, divisa tra resistenza e fragilità, desiderio di vivere ed impotenza di non farcela da sola. L’avevo coperta con un asciugamano di fortuna e di corsa ero salita a casa a prendere il trasportino.
Giusto qualche minuto e quando ero scesa già nonc’era più:era stata portata via. E dove l’avevano portata? Decine di telefonate tra vigili, protezione animali, veterinari della zona finché non l’avevo rintracciata. Per fortuna era stata portata presso l’ambulatorio di due veterinari e che si presero cura di lei tentando tutte le terapie per salvarla. Ogni giorno c’erano dei piccoli miglioramenti che facevano ben sperare per la sua vita. Io andavo a farle visita, come si fa con un paziente malato, le portavo i croccantini, le pappe super nutrienti e lei dimostrava di avere un fisico reattivo ed un carattere forte. Nel frattempo avevo chiesto in giro, postato su internet appelli per ritrovare la sua famiglia, ma nessuno la cercava. Era una gatta orfana e randagia, destinata a rimanere in una gabbia perché perle sue condizioni non poteva far parte di un gattile. E non si sapeva neanche quanto tempo sarebbe sopravvissuta date le numerose fratture che l’incidente le aveva procurato. Era una gatta adulta e, quando le veterinarie mi dissero che secondo loro era nata a giugno 2012. Mi vennero i brividi. Che coincidenza, proprio quando mamma morì! All’improvviso capii: era Mozzo che stava dirigendo il dialogo tra terra e cielo e mi stava svelando la magia del mondo dei gatti. Non avevo avuto esitazioni: non l’avrei lasciata da sola e in una gabbia! L’avrei adottata io ad ogni costo! Ero legata a lei come una mamma ai suoi pargoli. Ma non sarebbe stato facile convincere mio marito ad accettare un altro gatto in casa, stava ancora soffrendo le pene dell’infermo per il vuoto incolmabile lasciato da Mozzo e gli sarebbe sembrato di «tradire» la sua memoria. Chiesi aiuto a Mozzo che, alla fine ci fece capire che amare un altro gatto, non era altro che la continuazione dell’amore che avevamo avuto verso di lui! La dolce Mitzy ce l’ha fatta! Sta benissimo! Ha una forza fisica speciale ed un carattere straordinario. Le sue dolcezze nei miei confronti sono così tenere che mi sciolgono il cuore ogni volta. Sono ‘sicura che è lei l’eredità che Mozzo ha voluto lasciarmi. Da allora Mitzy colora le mie giornate regalandomi tutte le tonalità di quell’arcobaleno magico… e la favola continua.
ELISABETTA GRILLI (Libero)
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