La disperata voglia di voti di Pietro Grasso

Attualità

Milano 24 Febbraio – L’aver risvegliato l’antifascismo ottuso e violento degli anni Settanta è una colpa della sinistra antirenziana che è un segno al tempo stesso di irresponsabilità e di disperazione. Un clima di tranquillità, serenità e di pacificazione non comporta minimamente la rinuncia ai propri ideali e alla propria visione del mondo. La difesa della democrazia e la condanna del fascismo fanno parte della coscienza morale e civile del Paese e cercare di arroventare il clima della società nazionale usando la violenza delle parole e della piazza per rispolverare un antifascismo da Volante Rossa è un atto talmente irresponsabile di meritare di essere etichettato come nazifascista a tutti gli effetti.

La sinistra antirenziana pensava di strappare voti al Partito Democratico declinante recuperando dagli archivi della storia slogan e metodi dell’ultrasinistra degli anni di piombo. Ma è da cinici squilibrati avvelenare i pozzi della convivenza civile solo per qualche pugno di voti. Tanto più che questo pugno di voti sembra essere totalmente vuoto visto che le quotazioni di “Liberi e Uguali” sono in preoccupante ribasso. E gli unici destinati a raccogliere il consenso motivato dalla riproposizione dell’odio è la lista della sinistra ultraradicale “Potere al Popolo”.

All’irresponsabilità, dunque, si aggiunge la disperazione. Pietro Grasso e i suoi compagni di avventura pensavano di poter raggiungere una quota di consenso superiore al 10 per cento. Consapevoli di non riuscirci hanno giocato la carta disperata dell’antifascismo più virulento senza tenere in minimo conto dei danni collaterali che la loro mossa elettoralistica potrebbe arrecare al Paese.

Stupisce che a mettere la faccia sull’irresponsabilità e sulla disperazione sia Grasso, che non solo è stato e continua ad essere Presidente del Senato e seconda carica dello Stato, ma ha alle spalle anni di attività da magistrato ai massimi livelli. Possibile che non capisca che per un pugno di voti inesistenti rischia di compromettere la credibilità conquistata negli anni della toga?

Arturo Diaconale(L’Opinione)

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