A parole i sindaci condannano i violenti. Ma li foraggiano con soldi e sedi gratis
Milano 26 Febbraio – Eccoli lì, con la fascia tricolore quando ci scappano i feriti anche seri, a dire no ai violenti dei centri sociali, a stigmatizzare, a prendere le distanze. Eppure. Eppure sono proprio i sindaci, spesso, a foraggiarli e ad aver foraggiato i centri sociali. Ad averli anche coccolati, in vista delle elezioni. Niente finanziamenti diretti, magari, anche se ci sono pure quelli. Ma quando un centro sociale occupa abusivamente un immobile comunale e tu sindaco non lo reclami, anzi non ne chiedi neppure lo sgombero per quieto vivere o per condivisione della causa, non è una forma di finanziamento? E quando un centro sociale cresce, tanto che i suoi attivisti si spostano poi da una città all’altra pronti a lanciar pietre e bottiglie contro i poliziotti, la colpa non è anche un pochino di chi li aiuta a prosperare? Facciamo un focus su quattro città, Milano, Torino – sei agenti feriti proprio qualche giorno fa – Padova e Napoli. Proprio il capoluogo partenopeo è l’emblema della commistione enti locali-centri sociali. Il sindaco Luigi de Magistris li aiuta, li foraggia direttamente o indirettamente. E li coccola sperando che lo aiutino a traslocare in Europa.
MILANO
Sala segue l’esempio di Pisapia. Resta intoccabile chi «okkupa»
«Occupare per necessità non è reato». Con questo slogan pronunciato dall’allora assessore alla Casa della giunta Pisapia Lucia Castellano inizio la storia di amore tra l’amministrazione arancione guidata da Giuliano Pisapia e i centri sociali. Un anno dopo la promessa di legalizzare il Leoncavallo, storico squat. Con l’elezione nel 2011 dell’ex parlamentare di Rifondazione, infatti, venne stipulato una sorta di patto non scritto con gli autonomi per una moratoria sugli sgomberi. Patto mica troppo segreto viste anche le dichiarazioni che seguirono, come l’annuncio della legalizzazione del Leoncavallo, mai realizzata, e la vicenda di Macao, il collettivo di artisti che occupò nell’ordine la torre Galfa, Palazzo Citterio e le palazzine liberty di proprietà del Comune (che occupano ancora, in attesa del processo di «legalizzazione»). È lunga la lista di centri sociali, case occupate, palazzine prese con al violenza e ostaggio da decenni degli abusivi che non sono mai state «toccate» dalle forze di polizia. Tanto che quando vennero sgomberati lo Zam e il Lambretta nel 2014 su ordine della Questura, davanti a Palazzo Marino scoppiò il finimondo. I rappresentanti del mondo no global eletti in Comune vennero presi d’assalto e additati come traditori. Ma la love story con collettivi e centri sociali è proseguita con l’amministrazione Sala che nonostante le presentazioni, si è dimostrato amico dei compagni tanto quanto. «Quei centri sociali che hanno intenzione di regolarizzare la loro posizione mi avranno sempre al loro fianco. C’è centro sociale e centro sociale» sentenziò solo lo scorso luglio, riferendosi alla legalizzazione del Leoncavallo. Ma non sembra che nel frattempo ne abbia sgomberati molti.
Marta Bravi
TORINO
La Appendino regalerà loro altri immobili del Comune
Sono almeno 13 i centri sociali a Torino, che possono contare su 3.500 persone che ruotano intorno a questa galassia al limite della legalità. Tutti si richiamano a tradizioni ideologiche e politiche storiche: l’anarchia e il comunismo, con all’interno sfumature diverse a seconda del rapporto che si instaura con la politica cittadina. Perché la città piemontese si è sempre distinta per la sua volontà di trattare con questi gruppi, di trovare punti di accordo per vivere tranquilli. E forse è per questo che Torino sembra ora sorprendersi per il fatto che Askatasuna sia considerato tra le strutture monitorate dall’Antiterrorismo, uno dei più pericolosi d’Italia. E lo ha dimostrato nella guerriglia urbana di qualche sera fa, quando ha alzato il tiro imbottendo le bombe carta con pezzi di ferro e vetro, che hanno ferito sei agenti, dei quali uno in maniera grave. Estremisti orgogliosi di esserlo, sempre contro qualcosa e qualcuno, che da oltre venti anni hanno la sede nel cuore della città e che nessuno mai, da Fassino ad Appendino, hanno osato sgomberare, nonostante le promesse elettorali. Anzi, dalla giunta pentastellata arriva anche l’ipotesi di regalare nuovi spazi in città ai movimenti anarchici. E insieme ad altre realtà come El Paso o Gabrio – le cui sedi sono in immobili comunali occupati -, continuano ad essere degli intoccabili. Anzi di più, dei protetti, visto che nessuno si era mai spinto fin dove ha osato l’Appendino, che ha nella sua maggioranza alcuni esponenti dei centri sociali torinesi e che ha cavalcato la protesta degli antagonisti No Tav, strizzando l’occhio alle loro manifestazioni violente, come è accaduto per il leader di un centro sociale, Andrea Bonadonna, arrestato per aver colpito un poliziotto durante le manifestazioni contro il G7 che si è tenuto a Venaria.
Nadia Muratore
NAPOLI
De Magistris scherza col fuoco per avere un seggio in Europa
Simone Di Meo Napoli Napoli è il laboratorio politico dell’Internazionale dei centri sociali, e Giggino è il suo profeta. Il sindaco de Magistris ha due «bracci» operativi: Insurgencia e Potere al popolo. Quest’ultimo si è trasformato in una lista, ed è presente alle prossime politiche con propri candidati e un programma modellato sul Venezuela di Maduro – spiega la portavoce Viola Carofalo. Entrambe le sigle hanno ramificazioni internazionali. La prima con l’ex ministro greco Yanis Varoufakis. La seconda con Jean-Luc Melenchon, leader di La France insoumise che è stato in visita nell’ex Opg «Je so Pazzo» pochi giorni or sono. Con loro, «de Ma» tenterà la strada di una lista unica alle Europee. In consiglio comunale, siedono due consigliere espressione di Insurgencia (Eleonora De Majo) e di Ndo, Napoli direzione opposta (Laura Bismuto). Ad antagonisti e movimentisti, l’amministrazione arancione ha lasciato campo libero nella gestione dei beni comuni okkupati su cui stanno indagando, in parallelo, la Procura della Repubblica e la Corte dei Conti. Il danno erariale stimato è di oltre due milioni e mezzo di euro per il mancato incasso dei canoni di locazione. A cui aggiungere gli 800mila euro circa che, ogni anno, il Comune di Napoli corrisponde, direttamente e indirettamente, per manutenzione e costi di gestione. Sul tema dei beni comuni, nelle scorse settimane, «de Ma» è stato invitato a Milano e a Torino a tenere una orta di lezione magistrale. Ai ragazzi del Leoncavallo, nel capoluogo lombardo, il sindaco di Napoli ha spiegato di aver dato «spazio politico» ai centri sociali per liberare le energie dei giovani. Che sono e restano il suo più forte bacino elettorale.
Simone Di Meo
PADOVA
Il neo capo delle tute bianche sostiene il primo cittadino
Sono tre le anime dei centri sociali a Padova. C’è quello storico, il Pedro, che l’anno scorso ha compiuto trent’anni. Fondato il 7 ottobre 1987 da un gruppo di studenti capeggiati da Luca Casarini, all’epoca giovane universitario. Casarini, appunto, rispuntato l’anno scorso come segretario regionale di Sinistra Italiana in Sicilia. Il Pedro è stato il primo centro del Nordest, seguiva le orme del Leoncavallo di Milano e de El Paso di Torino. La sua sede è un vecchio deposito Agip in via Ticino, un’area comunale. Varie volte si è parlato di sgombero, ma dopo 31 anni sono ancora lì. Poi c’è il collettivo politico Gramigna, ora diventato Marzolo occupata e il BiosLab collettivi studenteschi. Il Gramigna da anni occupa abusivamente una ex sala mensa dell’Università degli Studi di Padova. Nel 2014 uno sgombero, poi gli attivisti tornarono dentro. Ora ci vivono, hanno piantato giacigli e letti. Odiano i giornalisti e dal 2016 al 2017, hanno saputo far leva sulle disgrazie della gente: assistevano tutte le persone sfrattate. In ogni luogo dove ci fosse uno sfratto c’erano loro. Quelli del Gramigna non vanno d’accordo con il Pedro: si odiano. ll BiosLab invece, a cui capo c’è un iraniano, si trova in un locale dello stabile dell’Inps, in via Brigata Padova. Anche questo occupato. A differenza del Gramigna, questi sono studenti e la alleanza con il Pedro gli viene anche bene. II Pedro ora ha un problema di leadership, un vuoto di potere che li ha fatti confluire verso il famoso centro Rivolta di Marghera. Tanti leader si sono succeduti dopo Casarini, come Max Gallob e Sebastian Kohlsheen. Kohlsheen, non più leader oggi, che guarda caso è attivo in Coalizione Civica, una di quelle liste che sostiene l’attuale sindaco di centrosinistra, Sergio Giordani.
Serenella Bettin
IL PROGRAMMA
E Potere al Popolo vuole l’amnistia se il reato è per la lotta sociale
Potere al Popolo, la lista in corsa per le elezioni del prossimo 4 marzo e guidata da Viola Carofalo, attivista di un centro sociale di Napoli, ha inserito nel suo programma la soluzione a tutti i problemi giudiziari degli antagonisti: l’amnistia per i reati legati alle lotte sociali, sindacali e ambientali e la depenalizzazione di una serie di reati, ereditati dall’ordinamento fascista del Codice Rocco. E non è tutto. Una volta “salvati” i black bloc e i lanciatori di bombe carta, Potere al Popolo vuole schedare gli agenti che quelle bombe le ricevono, inserendo i codici identificativi sulle loro divise. Per risolvere l’emergenza casa invece l’idea è di dare ai sindaci la facoltà di requisire gli immobili sfitti in barba alla proprietà privata. Infine, abolendo l’articolo 5 della legge Lupi, il partito salva gli abusivi che si allacciano alle reti elettriche, idriche e del gas altrui. L’illegalità regna sovrana.
(Il Giornale)
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