Milano 27 Febbraio – Si fa in fretta a dare dei “rincoglioniti” agli italiani tout court, da parte di un Alessandro “Dibba” Di Battista che del grillismo di lotta antisistema sembra il più acceso, forse anche per avere in un certo senso snobbato di diventare candidato pentastellato. Cui si aggiunge, come ricorda il nostro giornale, l’ultima esternazione di Beppe Grillo secondo il quale ci sarebbe e ci sarà un Parlamento con dentro “delinquenti” che gli vogliono male. I delinquenti sono sempre gli altri e poi capita di avere in lista un indagato per motivi e reati non esattamente politici.
Ma al di là della consueta violenza verbale non disgiunta da una minacciosa disposizione all’intolleranza per votanti non grillini, si vorrebbe ritenere, questa virulenza pentastellata, una sorta di segnale o, per meglio dire, una presa di coscienza (da parte loro) di un venir meno dell’entusiasmo dei votanti con una corrispettiva crescita della loro riflessione a proposito del dopo voto, a cominciare dal loro, con la realizzazione di un governo.
Non a caso centrodestra e centrosinistra si offrono come futuri governanti in una campagna che è bensì per il voto del popolo italiano, ma per chi dopo il 4 marzo dovrà assumere la responsabilità di amministrarlo governativamente. E va detto che, fra tutti, è Silvio Berlusconi il leader che con più abile e lucida sensibilità politica richiama quotidianamente questo punto essenziale. E dando un significato più pieno alla campagna non solo del voto ma del dopo voto. Perché?
Perché c’è alla base di questa campagna una domanda che l’elettore-tipo comincia a porsi, sia pure con una gradualità e interesse destinati comunque a crescere. Riguarda, per l’appunto, chi ci dovrà governare. Intendiamoci, la primitiva domanda era ed è un’auto-risposta, almeno per il gruppone di arrabbiati che, in nome del classico contro tutto e contro tutti, si sono raccolti intorno al Grillo, dapprima parlante ora un po’ meno (ha delegato Luigi Di Maio, a sua volta imbeccato da Davide Casaleggio). Avvicinandosi il 4 marzo, la domanda-richiesta prevalente attiene inevitabilmente al tipo di governo legittimato anche dal proprio consenso nell’urna, e ne deriva che non può e non potrà non aumentare l’interesse per il movimento politico e, va da sé, per il leader più giusto a tale bisogna. Non a caso il Cavaliere, consapevole di una maggioranza-alleanza che, per dirla con un frase d’altri tempi, non è di ferro, batte da giorni sul tasto del “suo” governo non tanto o soltanto perché secondo i sondaggi Forza Italia supera di quattro punti l’alleata Lega quanto, soprattutto, perché i governi berlusconiani sono una realtà, hanno una loro storia del fare, una precisa fisionomia di governabilità degna di questo nome.
Non è solo perché qualsiasi Paese (e il nostro non fa eccezione) ha bisogno di avere un governo, ma di esserne garantito col voto, al di là e al di sopra degli interessi per dir così “partitici”. E personalistici. E non è meno casuale che la polemica antipentastellata berlusconiana denunci più volte al giorno sia l’incapacità dei tipi alla Di Maio, connotati da populismo, giustizialismo e demagogia, ma ne teme il contagio anche all’interno della sua alleanza dove l’altro leader, Matteo Salvini, mantiene a volte una sua disposizione più mobile e più nervosa, e dunque più sospettabile di simpatie per chi del nervosismo e della mobilità antipolitica primeggia con la sigla delle Cinque Stelle.
Intendiamoci, uno come Salvini, sia pure di bossiana nascita, vuole e può fare ciò che vuole della sua Lega che, non casualmente, governa bene due delle regioni chiave del nostro Paese, ma un governo nazionale, coi suoi rapporti internazionali, ha un’unica strada ferrata da percorrere nel quale, tanto per dirne una, il binario della Comunità europea e dell’Euro è non soltanto obbligato ma indispensabile all’esistenza autentica di un’Italia cui sono proibiti, sia politicamente che dal buon senso, sfruculiamenti e distacchi immaginosi. Cioè immaginari.
In questo senso, il Berlusconi di oggi mantiene l’analogo spessore comunicativo d’antan, ma con un accento sempre più importante su governo e governabilità, sulla coerenza e sulla credibilità. E i sondaggi lo danno chiaramente più in alto della Lega. E sarà premiato nelle urne.
Paolo Pillitteri (L’Opinione)
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