Il diritto-dovere del voto secondo Gaber. Istruzioni per votare correttamente

Attualità

Milano 4 Marzo – Forse un pò di leggerezza fa bene, dopo tanto parlare. Leggerezza, non disinteresse. Oggi si vota e gli italiani decideranno da chi farsi governare, esaminando il programma e l’umanità del leader scelto, nell’ottica di chi vuole realmente il bene del Paese e di chi corrisponde alle proprie esigenze. Ma il voto è l’espressione di una volontà e ciascun voto è determinante. Le votazioni di oggi possono dare una svolta radicale, possono farci uscire da un periodo di incertezze e di crisi. Non facciamo l’errore di ritenere che niente possa cambiare, dopo che per sei lunghi anni si sono succeduti governi eletti con giochi di palazzo, senza la consultazione popolare. Oggi è il momento giusto per dire “Io ci sono. Io voglio”. Il voto è un diritto dovere. Cantava Gaber “Secondo me, se va avanti così, va a finire che a votare non ci va più nessuno.
No, dico, è una cosa grave….E pensare che nel dopoguerra si picchiavano per andare a votare. Si picchiavano nelle strade, gran passione, nelle piazze, scontri, comizi, bianchi, neri, repubblicani, monarchici, destra, sinistra, tutti alle urne, anche le donne finalmente. Il suffragio universale.
Adesso, quella domenica lì, quelli di sinistra vanno a Riccione, quelli di destra vanno in Sardegna… il naufragio universale…D’altronde il voto è un diritto-dovere. Anche questa è bella. Che sia un diritto lo abbiamo capito tutti. Che sia un dovere, ultimamente non l’ha capito nessuno.
Che mestiere strano quello del politico. È l’unico mestiere in cui uno dice: «Io sono il più bravo». E se lo dice da sé. E te lo scrive, e te lo grida, nelle piazze, nei comizi. «Io sono l’uomo giusto al posto giusto». Complimenti…E allora come si fa a tacciare di sterile menefreghismo uno che non vota? Potrebbe essere un rifiuto forte e cosciente di “questa” politica.
No, perché non è mica facile non andare a votare. Soprattutto non è bello farlo così, a cuor leggero, o addirittura farsene un vanto. C’è dentro il disagio di non appartenere più a niente, di essere diventati totalmente impotenti. C’è dentro il dolore di essere diventati così poveri di ideali, senza più uno slancio, un sogno, una proposta, una fede.
È come una specie di resa.
Ma al di là di chi vota e di chi non vota, al di là dell’intervento, al di là del fare o non fare politica, l’importante sarebbe continuare a “essere” politici. Perché in ogni parola, in ogni gesto, in qualsiasi azione normale, in qualsiasi momento della nostra vita, ognuno di noi ha la possibilità di esprimere il suo pensiero di uomo e soprattutto di uomo che vuol vivere con gli uomini.
E questo non è un diritto. È un dovere.”

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