Il porto di Milano resta inutilizzato, mentre le automobili scorrono lente sull’asfalto come i grani di un rosario

Milano

Dal libro ‘Benvenuta a Milano un intreccio di voyeurismo, amore, antichi castelli e vie d’acqua’ di Michela Pugliese

Milano 6 Marzo – Un porto a Milano? Possibile che il caotico capoluogo della regione Lombardia, regina del cemento e dell’asfalto, possieda un porto? Per un turista che si appressa a visitare la città, scorgere un porto tra i palazzi che si ergono come alberi pietrificati in una foresta di cemento, è davvero l’ultima cosa che si aspetterebbe. Invece è proprio così! In zona Ticinese c’è una darsena che anticamente fungeva da porto cittadino. Già nel Medioevo esisteva in quel luogo un laghetto, detto di S. Eustorgio a motivo della chiesetta che c’era, e ancora c’è, dedicata a tale santo. All’inizio del 1600 si decise di realizzare una grande Darsena proprio lì, luogo di confluenza dei navigli della città. In pratica non si fece altro che prendere le acque del laghetto e riversarle in una nuova fossa che divenne la Darsena. Osservandola oggi, si nota una configurazione a banana che indica un inequivocabile adattamento al perimetro delle antiche mura della città. Allora si preferì infatti mantenerla in una zona periferica, ma oggi è stata inglobata nella città.

Quando fu realizzata la Darsena, come ogni scalo marittimo, quella zona si trasformò da luogo di preghiera a zona malfamata. Non solo c’erano varie case di appuntamento, ma era zona di contrabbando e delinquenza.

Ancora fino al 1979, barconi carichi di materiali edili attraccavano in quel luogo che fungeva da porto cittadino. Oggigiorno, di tanto in tanto, qualche barca ancora si vede; però la Darsena ha ora perso la sua funzione originale. Da zona malfamata, oggi è divenuta una delle zone più ricercate per i gestori di locali pubblici. I giovani vi trascorrono volentieri le loro serate. Lungo le fiancate della Darsena, e i due navigli che da essa si dipartono, vi passeggia una folla incessante. Al tempo in cui fu realizzata la Darsena uno dei navigli, il Ticinello o Naviglio Grande, già esisteva; il secondo invece, il Naviglio Pavese, si decise di realizzarlo insieme alla Darsena. Da quest’ultima si doveva dipartire per raggiungere Pavia.

I lavori furono avviati, ma in un primo momento il canale fu reso navigabile solo per il primo tratto, fino alla cosiddetta Conca Fallata. La conca fu così denominata perché il governatore, volendo anticipatamente assaporare la gloria, fece erigere fuori Porta Ticinese una grande lapide con la quale sperava di essere commemorato come autore di una grande opera, appunto quella appena intrapresa. A quanto pare era consapevole della difficoltà dell’impresa, e di come altri prima di lui avevano fallito; ma egli riteneva di poter fare meglio dei predecessori. Sfortuna volle che anche per lui le difficoltà cominciassero fin dal principio: appena fuori città il forte dislivello fece arenare l’iniziativa. Così i cittadini, beffardamente, diedero a quella zona il nome di “Conca Fallata” che risuonò per i secoli successivi come derisione nei confronti di politici incauti. I lavori per la realizzazione del Naviglio Pavese furono ripresi poi in varie tappe, ma ci vollero ben 580 anni per completarli, all’incirca quanti ne servirono per portare a termine il Duomo di Milano con le sue innumerevoli guglie! Per far giungere a Pavia quel naviglio, furono realizzati 33 chilometri di canale e ben 12 conche. Il sogno dei milanesi fu però finalmente realizzato! Con la sua ultimazione si chiuse l’epoca della costruzione dei navigli.

Dopo tanto lavoro, nel corso dei secoli successivi Milano fu nuovamente riconvertita. Anziché vie d’acqua, oggi si vedono solo strade d’asfalto contornate da tanti cumuli di metallo che sono le automobili disseminate come i grani di un rosario lungo il cordoncino della corona. E proprio come a passo di rosario procedono le automobili durante il loro tragitto!

Milano è una delle città più inquinate del pianeta, eppure pochi si rendono conto che il traffico stradale potrebbe essere in larga parte assorbito dalle vie d’acqua, che restano invece inutilizzate.

La copertura dell’ampia rete dei navigli che anticamente solcavano la città fu una strategia politica adottata per incrementare le vie asfaltate e con esse il commercio e la circolazione delle automobili. Oggi però bisognerebbe fare marcia indietro, e Milano ne ha la possibilità.

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Michela Pugliese

https://www.youtube.com/watch?v=cVmiS4ZeaWo&feature=youtu.be&list=PL3i2p6ePbtx9vcAYrC9819HackEE0maGH

https://www.hoepli.it/ebook/benvenuta-a-milano-un-intreccio-di-voyeurismo-amore-antichi-castelli-e-vie-d-acqua/9788892664661.html

 

1 thought on “Il porto di Milano resta inutilizzato, mentre le automobili scorrono lente sull’asfalto come i grani di un rosario

  1. Non sono d’accordo e da ingegnere non ne vedo proprio le possibilità di realizzazione per ” conto che il traffico stradale potrebbe essere in larga parte assorbito dalle vie d’acqua, che restano invece inutilizzate.” Neppure creando tanti canali quante sono le vie cittadine. Perchè poi dalla città bisogna uscire e le barchette dove le mettiamo? su Tir? saluti

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