L’incubo: una crisi senza sbocchi. Mattarella vuole risposte dai leader

Attualità

 Nessuno schema prestabilito, i partiti dovranno dare indicazioni. Tre maggioranze teoriche, tutte in salita. Si rischia un voto bis. 

Milano 7 Marzo – Chiunque bussi al portone presidenziale, pensando di farsi svelare la formula anti-caos, si sente dire: «E l’indirizzo sbagliato. Non sarà il capo dello Stato a dettare le soluzioni di governo, semmai saranno i partiti che dovranno dare risposte chiare a Mattarella, quando sarà il momento». C’è da scommettere che, fino all’inizio delle consultazioni, il ritornello quirinalizio sarà sempre lo stesso: rivolgetevi altrove. Eppure non c’è dubbio che, al netto del riserbo presidenziale, sul Colle serpeggi una qualche preoccupazione. A rigor di logica, le maggioranze possibili sarebbero tre: Cinquestelle con Pd, Pd con centrodestra, centrodestra con M5S. Per ciascuna di queste tre combinazioni i numeri in Parlamento non mancherebbero. Ma politicamente, avrebbero un senso? E il punto interrogativo che Mattarella per primo si sta ponendo.

Si prenda l’ipotesi, che Renzi ha sonoramente bocciato, di un appoggio Pd a Di Maio premier: per prima cosa andrebbe chiarito che si intende fare del reddito di cittadinanza. Per i grillini è stata l’arma vincente, se dovessero andare al goyerno sarebbero tenuti a onorare l’impegno. Ma 780 euro mensili ai senza lavoro, concentrati nel Sud, scatenerebbero la rabbia del Nord, che chiede un taglio alle tasse e si ritroverebbe invece con un boom della spesa pubblica assistenziale. Si spalancherebbe un’autostrada a Salvini. E viceversa: aggregandosi al centrodestra, il Pd dovrebbe ingoiare la «flat tax», col risultato di concedere praterie alla propaganda grillina. Tutte questioni che non riguardano l’arbitro Mattarella, il quale si muoverà senza schemi preconcetti, apertissimo a qualunque combinazione. Tuttavia il Colle vede gli ostacoli, non coltiva l’illusione che le caselle vadano a posto da sole. Certi segnali, come lo scontro interno nel Pd e le stesse accuse lanciate ieri da Renzi verso chi gli ha impedito di tornare al voto quando lui si sentiva forte, segnalano un clima avvelenato. Ci vorrà tempo per disperdere le tossine, magari attraverso ruvidi chiarimenti nei partiti. La domanda è se questo tempo ci verrà concesso, dall’Europa e dai mercati.

Chi tiene d’occhio le Borse registrava ieri perdite contenute e uno spread che nelle ore dello spoglio elettorale non ha mai superato quota 170, buon segno. Ma non è detto che Bruxelles, Francoforte e gli operatori finanziari manterrebbero lo stesso aplomb dopo mesi di inutili consultazioni, ripetuti tentativi e incarichi a vuoto. Addirittura qualcuno, tra i personaggi di casa sul Colle, comincia a temere che non esista soluzione al rebus della governabilità. Con due potenziali esiti, che i collaboratori del presidente rifiutano perfmo di prendere in esame. Il primo possibile sbocco sarebbe un governo guidato da qualche riserva della Repubblica, ad esempio il presidente della Camera o del Senato. Al quale tutti i partiti, presi dallo sfmimento, non potrebbero negare un sostegno «tecnico» per superare l’estate e consentire, in autunno, di maturare soluzioni meno precarie; oppure (ecco l’altro esito) di ritornare alle urne, qualora si riscontri a settembre che non c’è proprio nulla da fare. Nuove elezioni sarebbero un rischio mortale. Il capo dello Stato le cancellerebbe volentieri dal novero delle possibilità, poiché teme un esito-fotocopia destinato ad avvitare la crisi su se stessa. Ma nella cupaggine del postvoto nessuno, nemmeno Mattarella, può garantire che una strada sarà comunque trovata. Il fantasma delle urne rimane, ammiccante, sullo sfondo.

Ugo Magri (La Stampa)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.