Milano 16 Marzo – L’Italia vista dagli albanesi che operano con destrezza l’arte della rapina. Un’Italia ideale per furti e atti criminali per quella banda di ladri pendolari specializzati on razzie nelle case e alle colonnine dei benzinai. L’inchiesta è di Repubblica “II capo si faceva chiamare Vali o Val o anche Kiku, regista e reclutatore di nuove leve assoldate a turno in patria. Mentre il suo braccio destro era l’autista, dalle riconosciute abilità alla guida, detto Dario. E poi Eli, Enzo o Klevi, Diti (fratello di Vali), Snake e Ina, unica donna e fidanzata di Dario, gli altri della banda. Tutti albanesi, dai 20 ai 26 anni, incensurati tranne il capo, che stavano in Italia, in particolare nel Milanese, per un paio di mesi, razziando case e benzinai per poi tornare a casa, dove fare la bella vita con i proventi del crimine. I carabinieri della compagnia di Cassano d’Adda, coordinati dal pm David Monti, li hanno però scoperti, e arrestati. Tutti tranne due, latitanti. E alcuni milioni di euro a loro riconducibili sono stati sequestrati. Gli episodi contestati sono 31, dei quali 15 furti alle colonnine dei benzinai e 14 furti e 2 rapine in varie case. Ma si ritiene che i casi siano molti di più. Le indagini sono partite il 12 gennaio, da due furti ai benzinai di Oreno di Vimercate e di Cassina de’ Pecchi, 14mila euro in una sola sera. Dalle immagini si risale a una Fiat Bravo, rubata. Poi intercettazioni ambientali e telefoniche, localizzazioni con Gps e tradizionali pedinamenti hanno fatto il resto per identificare la gang. Che opera sempre allo stesso modo: sul posto si arriva con un’auto rubata, l’autista resta col motore acceso, uno fa il palo, due entrano in azione, tempo 4-6 minuti e la colonnina del bancomat è scassinata con una certa abilità. Usano sempre gli stessi arnesi: un flessibile con batteria arancione rosso e una chiave a T e sono vestiti sempre uguale, guanti da lavoro blu e giubbotto rosso o grigio e cappuccio con pelo. Girano normalmente a bordo di auto pulite con cui raggiungono quelle «cattive», come le chiamano tra di loro, da usare per raggiungere i luoghi dei colpi – anche tra Monza e Brianza, Bergamo, Brescia, Lodi e Varese – e le zone di spaccio, attività collaterale con la ricettazione. Il covo era a Melzo. In un’intercettazione ambientale il capo della banda fa capire una sensazione di impunità che li spingeva a delinquere: «Lo abbiamo sentito dire che in Albania ha la fila di persone che vogliono entrare in una batteria come questa – ha raccontato il pm David Monti – . E spiegava il motivo, e cioè che “al massimo in Italia ti fai 24 ore di fermo”, le pene sono poco dure in Italia. Con questa indagine speriamo di smentirlo».
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