Milano 16 Marzo – Una selezione di 30 opere, tra dipinti, disegni e pastelli, concessi straordinariamente in prestito dal Museo Giovanni Boldini di Ferrara e in dialogo con le opere della GAM di Boldini e di Paul Helleu, suo amico ed emulo e come lui protagonista della Belle Epoque parigina.
La mostra “Boldini. Ritratto di signora” intende presentare l’elaborazione da parte di Boldini di uno stile moderno, personale e ricercatissimo dalla committenza internazionale, nella definizione del ritratto femminile mondano e aristocratico, con una serie di opere risalenti al primo ventennio del Novecento.
Lo stile di Giovanni Boldini
L’eclettismo delle sue realizzazioni e la versatilità del suo estro creativo rendono Boldini un pittore difficilmente inseribile entro i ristretti orizzonti di una definita corrente artistica. La sua parabola artistica va quindi affrontata senza schemi precostituiti, siccome sboccia e deflagra in un arco temporale che attraversa le esperienze macchiaiole, il trionfo impressionista e lo stile simbolista, e si conclude al principio del Novecento, quando in Europa già dominavano le avanguardie storiche.
In seguito alla formazione ferrarese, durante la quale il giovane nutrì consistenti simpatie verso il Quattrocento (senza per questo disdegnare le soluzioni calde e sensuali della tradizione bolognese del Seicento), Boldini – come si è visto nel paragrafo Firenze – si trasferì in Toscana ed entrò in contatto con la opere macchiaiole di Giovanni Fattori, Telemaco Signorini e Cristiano Banti. Dopo l’approdo macchiaiolo le opere di Boldini inizieranno a svolgersi secondo una linea sintetica e abbreviata, sull’esempio dei dipinti dei colleghi toscani. Già dopo poco tempo, tuttavia, emersero profonde divergenze tra la personalità artistica boldiniana e quella macchiaiola. Quest’ultimi, infatti, amavano riprendere il dato naturalistico con pennellate intrise di una luce solare endogena, idonee per dare vita a dipinti statici e ritmicamente bilanciati. Boldini, al contrario, evitava le misure compassate e statiche dei Macchiaioli e, calandosi nella realtà in modo nuovo, disinvolto e dinamico, dava luogo a composizioni movimentate ed elettrizzanti, operando una dinamicizzazione che con la sua nervosa spregiudicatezza sembra quasi anticipare i futuri indirizzi dell’arte futurista. In aperta controtendenza con l’impostazione macchiaiola, inoltre, Boldini era votato alla ritrattistica e preferiva non cimentarsi sul plein air. I paesaggi, in effetti, rimangono una rara testimonianza all’interno dell’opera boldiniana, e anche se presenti denunciano apertamente l’autonomia stilistica del pittore ferrarese rispetto alla linea macchiaiola. Di seguito viene proposta l’analisi della critica d’arte Alessandra Borgogelli:” [Boldini] senza dubbio apprezza le vedute di Fattori, di Abbati e di Borrani, anche se nei suoi paesaggi [… ] notiamo sempre un forte effetto “elettrico” che manca nelle composizioni degli altri. All’orizzontalità dei formati delle opere di macchiaioli Boldini sostituisce la verticalità delle sue “vedute”, scorciandole paurosamente. Inoltre ai loro trionfi solari fa subentrare una meteorologia perturbata. Infatti mette in campo una “natura” imbronciata e mossa da un vento che sembra autorizzare lunghe pennellate, strisciate di colori, sempre più lontane dalle luminose soluzioni formali tipiche dei macchiaioli ” (Alessandra Borgogelli)
Da queste premesse appare subito evidente come la fisionomia artistica di Boldini sia articolata e complessa. L’impetuosità e la violenza del suo tratto non vennero meno neanche dopo il trasferimento a Parigi, città al tempo interessata dalle novità degli Impressionisti, gruppo che nonostante le varie disomogeneità di sorta trascriveva la natura in modo sereno e contemplativo, facendo ricorso a virgolettature realizzate rigorosamente en plein air. Nonostante l’impegno impressionista Boldini preferì dedicarsi alla ritrattistica e stare al chiuso e, anche quando si cimentò nella raffigurazione di scorci urbani parigini, abiurò da quel tranquillo ideale di quotidianità promosso da alcuni suoi colleghi (si pensi al De Nittis) e preferì inserirvi nuclei squilibranti e dinamici, come i cavalli, i quali gli offrivano il pretesto per mobilitare il pennello lungo traiettorie scattanti e movimentate.
Dinamica era d’altronde la stessa pittura del Boldini, il quale attraversò più volte mutamenti stilistici anche profondi. Durante il cosiddetto “periodo Goupil”, infatti, Boldini dovette adattare il proprio credo pittorico alle esigenze del mercato e perciò schiarì di colpo le sue luci, abbracciando in questo modo il gusto rétro di una borghesia che amava le citazioni della pittura francese del Settecento. Una volta sospesa la collaborazione con Goupil, invece, approfondì la sua indagine cromatica e si convertì a una tavolozza più scura, sanguigna, impostata sulle armonie dei grigi-argento, dei marroni e dei neri, sull’esempio dell’amico Degas e della pittura di Frans Hals e di Diego Velázquez. Prese così gradualmente forma la maniera distintiva del Boldini: febbrile, abbreviata, “affidata ora un facile brio e quasi arroganza del segno, ora alla raffinatezza dei toni elettrici e pungenti” (Enciclopedia dell’Arte, Einaudi). Fu questo lo stile che rese Boldini universalmente celebre: lo stesso pittore, una volta approdato a una fattura stilistica completamente autonoma, fu d’altronde ben lungi dal distaccarsene, salvo nella tarda maturità quando – complice la dissipazione delle energie creative e un’eccessiva fiducia nelle proprie abilità – realizzò opere che ripetevano meccanicamente e fiaccamente certi schemi artistici di cui egli stesso aveva già esaurito tutte le possibilità. Ciò malgrado, anche in quest’ultimissimo periodo Boldini licenziò dipinti più che validi, come le Vedute di Venezia del 1911 e il Ritratto di Franca Florio del 1924.
(Giovanni Boldini. (23 gennaio 2018). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 12 marzo 2018, 09:11 da //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Giovanni_Boldini&oldid=94070006)
Il Museo Giovanni Boldini
Istituito nel 1935, il Museo Giovanni Boldini è la più importante raccolta pubblica di opere del maestro ferrarese che, trasferitosi prima a Firenze, poi a Londra e infine a Parigi, divenne uno dei protagonisti indiscussi della cosiddetta Belle Époque.
Il fondo raccoglie più di sessanta dipinti e oltre un migliaio di opere su carta – tra pastelli, acquerelli, disegni e incisioni – oltre a un ricco nucleo di lettere, documenti, oggetti personali e arredi provenienti dalla casa-atelier parigina di boulevard Berthier. Per ricchezza e qualità, la raccolta ferrarese consente di documentare l’intera carriera dell’artista e ogni aspetto della sua ricca e variegata produzione: dalle opere della giovinezza e degli anni trascorsi nella Firenze dei macchiaioli, quando Boldini si distinse per un’interpretazione del tutto nuova del ritratto, alle audaci esperienze condotte nella Parigi degli impressionisti, tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo; dai grandi ritratti ufficiali a figura intera per i quali divenne celebre in tutto il mondo e dei quali il Museo conserva alcuni dei massimi capolavori, alle più intime sperimentazioni pittoriche boldiniane costituite da raffinate nature morte, splendide vedute di Venezia, paesaggi e singolari scene d’interni. (arte.go)
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