Cittadella degli archivi: l’installazione di luce dedicata a Boccioni

Cultura e spettacolo

Milano 20 Marzo – Una nuova luce sulla Cittadella degli Archivi. Si è accesa una scritta al neon alta sette metri. Riporta il nome di Boccioni, il pittore della Città che sale,il futurista che inneggiava alla luce elettrica, allo sferragliare dei tram e alla nuova città. Gli autori sono Vedovamazzei, coppia navigata dell’arte italiana che ha fatto dell’uso del neon un marchio di fabbrica. Qui sintetizzano in un veloce corsivo il mondo complesso che abita questo gigante grigio prefabbricato. La calligrafia è di Marinetti, da una lettera del 1934 che documenta la vendita per 8mila lire al Comune della scultura di Boccioni, ora al Museo del Novecento, Forme uniche nella continuità dello spazio. Siamo a Niguarda, dove da 5 anni confluiscono le carte comunali, dall’anagrafe alle pratiche edilizie, dai registri scolastici ai piani regolatori. Ma non solo.

Qui, stipato in migliaia di faldoni, c’è un abisso di conoscenza ancora da scandagliare. È la storia ingiallita e stropicciata del Novecento e di una cospicua parte dell’Ottocento. Ci sono i materiali dei funerali di Verdi, come i telegrammi di cordoglio da tutto il mondo. Le schedature di 12mila persone sospettate di essere ebree nel 1938, all’indomani delle leggi razziali, materiale da un anno sotto la lente dell’università Statale. Del 1952 è l’atto di acquisto della Pietà Rondanini (da una famiglia romana, per 135 milioni di lire).

Ricchissimo il materiale di architettura, dai progetti esecutivi del Pirellone di Gio Ponti alla “vela” di Luigi Moretti in corso Italia. “Abbiamo 180mila documenti datati dal 1844, stipati in 45 chilometri lineari di carta”, spiega il direttore Francesco Martelli.”Provengono da 150 sedi del Comune. E continuano ad arrivare”. Mostra una distesa di faldoni abbandonati. “Li abbiamo sgomberati in fretta perché si stavano deteriorando, tra muffe e acqua”. Accanto, sfila un lunghissimo scaffale ben disposto e compilato. A parte questo primo purgatorio affollato di anime in attesa, il resto è un susseguirsi di stanze ampie e ariose. Dodici dipendenti, un paio di manciate di studenti a consultare carte (al pomeriggio accedono i professionisti, per pratiche edilizie). Ma i 180mila documenti dove sono? “Ora andiamo da Eustorgio”.

Dietro una porta ap paiono binari, corsie, scaffali, gli stessi di un magazzino di auto ricambi. Il robot è stato battezzato così da un vecchio funzionario, nato in piazza Sant’Eustorgio. La temperatura si abbassa a 16 gradi. Il silenzio avvolge il riposo di questa folla di documenti.”Affiorano storie di  continuo. L’archivio ci parla. Perché sa, sono gli uomini a dimenticare.Le faccio un esempio.L’università di Oakland ci ha chiesto le carte della spedizione al Karakorum del 1929. Era stata finanziata dal Comune di Milano. Non sapevamo nulla. Il robot Eustorgio in 10 minuti ci ha riportato alla luce fotografie, negativi, carteggi, codici cifrati, tutti inediti, che in autunno saranno al centro di un congresso sulla storia dell’alpinismo. Erano sopiti, dimenticati. Mai nessuno li aveva richiesti”.

Il neon di Vedovamazzei, installazione permanente, curata da Rossella Farinotti e sostenuta da AEM, è una delle tante iniziative d’arte che animano la Cittadella degli Archivi. Sul muro di cinta si susseguono wall painting di giovani artisti, italiani e iraniani. Raccontano storie che riposano qui. L’ultimo, del collettivo Atrii, inaugura oggi. All’ingresso anche un breve ma gustoso affondo che ci dirotta verso una mostra del 1982, prima ricognizione degli anni T renta, oggi di gran moda, ma allora ancora tema spinoso, con due opere della Collezione Iannaccone e articoli di Gillo Dorfles che liquidava quegli anni come provinciali . “Non siamo un museo. Ma vorremmo divulgare i materiali”. L’archivio è un grande vulcano. Pacifico, ma mai spento.

 Cristiana Campanini (Repubblica)

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