Giulio Cesare, profondo ammiratore, e per sua stessa ammissione emulo di Alessandro, poteva non avere anch’egli un cavallo affezionatissimo? Anzi, se Alessandro aveva un cavallo affezionatissimo, lui discendente dall’antica famiglia ‘gens Iulia’, che secondo il mito annoverava tra gli antenati Romolo fondatore di Roma e Iulo (Ascanio) figlio di Enea figlio a sua volta della dea Venere, non meritava un cavallo se non proprio divino almeno fuori dal consueto? E, infatti, secondo quanto scrive lo storico Svetonio nelle sue ‘Vite dei Cesari’, Giulio Cesare disponeva di un cavallo eccezionale nato negli allevamenti dei Giulii: ‘Un cavallo straordinario, che aveva piedi quasi umani, con le unghie fesse in forma di dita. Gli aruspici avevano predetto che avrebbe dato al suo padrone l’impero di tutta la terra. Dopo tale profezia, Cesare lo fece nutrire con grande cura e fu il primo a montarlo e non tollerava che altri lo cavalcassero. Dopo la sua morte ne fece innalzare la statua davanti al tempio di Venere Genitrice’.
Il celebre destriero del discendente dalla dea Venere si chiamava Asturcone, ed era originario delle Asturie, da cui deriva il su o nome. Non era un esemplare armonico e veloce come il cavallo Arabo, tuttavia, nella morfologia della sua razza non aggraziata, ma poderosa, vi era una grande capacità di resistenza, forza ed una docilità ai comandi non comune. E Giulio Cesare, che combatteva sempre in prima linea le battaglie, doveva per forza avvalersi di un cavallo pronto a lanciarsi, ma allo stesso tempo freddo ai fragori della guerra, mansueto e ubbidiente agli ordini. Cesare era abile con i cavalli. Plutarco, scrittore greco, scrive che fin da quando era fanciullo , si divertiva a lanciare il suo cavallo in uno sfrenato galoppo, “con le mani intrecciate dietro la schiena” !
Al suo cavallo Asturcone fu molto legato sia perché gli era nato in casa , sia perché secondo la profetica previsione degli indovini, l’animale significava il dominio del mondo per il suo padrone. Per questi motivi Cesare volle essere il primo e l’unico a montarlo. E, infatti, di ritorno dalla campagna delle Gallie, conquista con cui estese il dominio della Repubblica romana fino all’oceano Atlantico e al Reno combattendo in groppa ad Asturcone, nel 49 a.C. rifiutò di congedare le sue legioni e le guidò attraverso il Rubicone, il fiume che segnava una sorta di frontiera romana, pronunciando le celebri parole «Alea iacta est», e scatenò la guerra civile, con la quale divenne capo indiscusso di Roma.
Con l’assunzione della dittatura a vita diede inizio a un processo di radicale riforma della società e del governo, ma il suo operato provocò la reazione dei conservatori: un gruppo di senatori, capeggiati da Marco Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino e Decimo Bruto, cospirò contro di lui auspicando il ritorno della Repubblica. Cesare fu ucciso alle Idi di marzo del 44 a.C., ma non ci fu un ritorno alla Repubblica. Due anni dopo il Senato lo deificò ufficialmente, elevandolo a divinità. Finalmente divenne degno discendente della dea Venere. Dopo di lui il nome Cesare divenne sinonimo di imperatore romano. Anche per Asturcone, la fama di Cesare significò fama per sé. Come Bucefalo, riflesse la grandezza del proprio padrone, divenendo soggetto di aneddoti in bilico tra mito leggendario e realtà. Morì prima di Cesare poiché fece in tempo a consacrargli una statua eretta dinanzi al tempio familiare di Venere Genitrice nell’omonimo Foro. E’ ancora lo storico Svetonio a dircelo nelle sue ‘Vite dei Cesari’: “Dopo la sua morte ne fece innalzare la statua davanti al tempio di Venere Genitrice’”.
TRATTO DAL LIBRO “CAVALLI E RONZINI” di Michela Pugliese
https://www.hoepli.it/ebook/cavalli-e-ronzini/9788827805336.html
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