Milano 26 Marzo – «Maurizio, ti ricordi di cosa parlavano gli altri due film?». I baffoni bianchi di Maurizio si muovono impercettibilmente, il vocione con accento trapanese fa il resto. «Il primo era triste e mi sono addormentato. Il secondo era su due che intrallazzavano». Sintetico. Efficace. «Fefa», come la chiamano tutti al Cineteatro delle Colonne di San Lorenzo, termina la sua prolusione. Spiega che il ciclo che termina con la pellicola che stanno per guardare parla di ricerca della felicità, e dei mille modi per arrivarci. Tra le seggiole rosse saremo in quindici ad ascoltare. Ma non è perché i cineforum non vadano più di moda. Questo è speciale. Per cinefili di strada. Presi da lì, dai cartoni e dalle coperte stese sotto i portici del centro, dove don Luca e i suoi volontari sono andati per un inverno a portare pane, conforto e un’idea. I film, da guardare e commentare insieme a clochard, emarginati, poveri. Quasi amici è stato il primo. Poi Il lato positivo. «Uno tristissimo, su quel signore senza mani e senza gambe — la sinossi è di Silvano, cingalese, lo trovate tutte le notti a dormire in piazza Diaz — l’altro mi ha fatto morir da ridere». Questo no. Lion è un film bello e durissimo, la vera storia di Sheru attraversa quelle di violenza subita di migliaia di bimbi indiani cui ogni giorno viene tolto tutto, a partite dall’innocenza. Un cazzotto allo stomaco per tutti, figuriamoci per Silvano. Quando si accendono le luci, dalla sua bocca senza incisivi non esce nessuna risata. Gli occhi liquidi puntano altrove. «Tutta quella strada per tornare dal fratello… Capisci la fatica?». Su, nella sala comune al primo piano, una piramide di panini al formaggio e alla mortadella e tre bottiglie di coca, spuma e acqua sono il buffet alla buona per il dibattito. E il carburante per Silvio. L’esperto. Che già durante il film, al buio, aveva fatto da contrappunto con i suoi commenti a voce alta, una radiocronaca commentata lunga due ore. E adesso, con la sua cravatta a fiori, il suo impermeabile sdrucito, il cappello consumato sopra il vestito rosso, squaderna la sua cinefilìa: «Vedi, è stato bravo il regista a creare questo connubio tra Tasmania e India, tra madri diverse… La surrealità di quella ricerca…». Le risate ritrovate di Silvano lo interrompono, gli altri ascoltano rapiti, parrocchiani compresi. E mangiano. Anche Angelina, che per pudore aveva provato a rifiutare il panino. Anche Carmine e le altre anime che si ritrovano qui, al caldo di questa saletta, ad ascoltare don Luca che annuncia il programma di domenica prossima: visita guidata di San Satiro, messa per chi vuole. Poi chiede a Maurizio: e a te cos’ha colpito del film? Il baffone dell’omone, una separazione e un lavoro di rappresentante alle spalle, torna a muoversi: «L’attaccamento alle origini. Che torni sempre lì. Come dice il detto, anche un cane bastonato torna dal padrone». La radio di Silvio è sempre accesa: «Negli anni Settanta, quando facevamo i cineforum, c’era più preparazione…». Ma è deluso anche lui quando scopre che il ciclo di film è terminato. «Pensavamo di rifarlo l’anno prossimo – spiega Fefa – ma magari anticipiamo a giugno. Dateci delle proposte». Silvio si alza, come tutti, perché è l’ora di tornare a prendere posto. Si sistema il cappello. «Se serve una consulenza, io ci sono».
Massimo Pisa (Repubblica)
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