Milano 26 Marzo – Il medico di famiglia è eternamente bersagliato: i pazienti si lamentano per gli ambulatori aperti troppo poche ore al giorno (a Milano solo un paziente su tre riesce a vederlo in funzione per otto ore al giorno) e solo il 24% del totale aderisce, sempre a Milano, alla riforma della Sanità pensata per migliorare l’assistenza ai malati cronici. Così non va bene. E, allora, perché i medici di famiglia ci curino meglio almeno in futuro, devono essere più motivati da giovani, aiutati a riscoprire i valori del mestiere e valorizzati durante gli studi. In sintesi: «Il percorso di studi e di ingresso sul mercato del lavoro è da rivedere», dice al Corriere Alessandro Colombo, alla guida dell’Accademia di formazione per il servizio sociosanitario di Regione Lombardia. L’appello arriva a pochi giorni dall’avvio del nuovo Triennio di formazione in Medicina generale con 140 tirocinanti, reclutati con grossa difficoltà. È stato necessario scorrere verso il basso la graduatoria: due giovani su tre, pur avendo partecipato alla selezione, al momento di iniziare hanno fatto un passo indietro. Insomma: chi ha un’alternativa spesso segue un’altra strada. Non è difficile capire il perché: le borse di studio dei giovani che vogliono diventare medici di famiglia sono solo di 900 euro al mese, la metà di quelle di chi studia per diventare cardiologo, ortopedico e ginecologo; il test d’ingresso al corso di formazione è di 100 domande basate solo sulle conoscenze cliniche, senza nessun riferimento alle motivazioni che li spingono; i programmi di studio sono datati agli anni Novanta e il tirocinio procede al rallentatore. Risultato: «Il medico di medicina generale, la figura più decisiva del sistema e l’unica insostituibile — scandisce Colombo — è una professione scelta poco dai giovani e in crisi a partire dal percorso di formazione».
Di qui la convinzione della necessità di cambiare rotta. Un’idea supportata da un’indagine su 355 medici, tutti tirocinanti proprio del corso regionale per diventare medici di base. Due terzi donne e in maggioranza tra i 25 e 30 anni. Giulia Parisi, psicologa e borsista di ricerca dell’Accademia che sta conducendo lo studio con Colombo, spiega: «Il 52% dei giovani in formazione si sente più legittimato se dimostra competenze cliniche, mentre solo il 19% riconosce il valore del rapporto con il paziente. Un controsenso, perché la capacità relazionale è fondamentale soprattutto per il dottore di famiglia». Un dato simile emerge quando viene chiesto quali siano le competenze ritenute più importanti per un medico di base. Ancora una volta l’aspetto clinico è quello a cui viene dato maggior valore nell’esercizio della professione (70% contro 19%). Solo i medici over 40 risultano essere più sensibili al rapporto umano. «Dall’esperienza del corso emergono quattro suggerimenti — insiste Colombo —. Bisogna investire di più sulla vocazione (anche con lezioni sulla medicina di base durante gli anni universitari e un test d’ingresso con domande non mirate solo sugli aspetti clinici); aumentare il valore economico delle borse di studio o permettere di svolgere tirocini retribuiti; sbloccare le graduatorie per permettere un ingresso più veloce sul mercato del lavoro e adattare il programma del corso di specializzazione all’evoluzione dei bisogni dei pazienti». La palla ora passa alla politica: «Il Pirellone — assicura Colombo — è sensibile alla questione».
Simona Ravizza (Corriere)
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