Prossimi passi ? Si avvicinano le nomine alla Cassa Depositi e Prestiti, tabù del passato.
Milano 1 Aprile – Non è solo fame di poltrone, questa smania dei Cinque Stelle nell’occupare ogni strapuntino delle cariche parlamentari. La fame ancora insaziata esiste, ed è un formidabile argomento polemico per chi vede i Cinque Stelle calamitati dalle sedie del potere con l’ipocrisia di chi predica bene ma razzola davvero molto male. Ma l’assalto alle poltrone più alte del sistema un tempo denunciato con veemenza ha una sua giustificazione ideologica in una «doppia morale» che è tipica dei movimenti anti sistema, inclini a giudicare le istituzioni rappresentative non come un valore in sé, ma come una trincea da occupare, una tribuna da cui declamare i princìpi della dottrina rivoluzionaria, uno spazio sottratto al nemico.
Se gli altri fanno incetta di poltrone, sono lottizzatori, usurpatori di un bene pubblico, vecchie sentinelle del sistema attaccate ai simboli del potere e del privilegio. Se invece lo fai tu in virtù di un’investitura sancita dal popolo insorto, allora diventa conquista delle casematte del sistema, assalto al santuario del potere decrepito. E quindi corsa alle presidenze, con destrezza tattica consumata, altro che dilettanti allo sbaraglio.
E poi alle vicepresidenze. E poi ai questori di Camera e Senato, che dicono abbiano un potere importantissimo nella vita parlamentare, anche se i più distratti e sprovveduti tra di noi finora non se n’erano neanche accorti. E non è finita. Si stilano liste di ministri inamovibili ma di conio Cinque Stelle. Luigi Di Maio non fa altro che dire che la poltrona di Palazzo Chigi spetta a lui. E si avvicina il giro di nomine della Cassa Depositi e Prestiti. In quel giro ogni nomina degli altri veniva vista come deplorevole abitudine lottizzatrice. Adesso si carica quella nuova giostra di una virtù salvifica, come se i nuovi vincitori fossero muniti di un tocco magico, di un privilegio donato da un disegno provvidenziale: spesso abbiamo incontrato nel Novecento questa pretesa, e quasi sempre con un bagaglio teorico non proprio contiguo ai valori della democrazia rappresentativa.
La corsa alla poltrona vissuta con questo spirito di conquista rivoluzionaria prevede inoltre che ogni contatto con la figura che di volta in volta viene identificata con il diavolo sia come riscattato e sublimato in vista dell’obiettivo finale. Gli accordi stretti dai nemici sono perciò spregevole inciucio, volgare compromesso, conservazione arrogante del potere. Ma gli accordi che portano a occupare una postazione prima in mano al nemico diventano, ipso facto, strade necessarie per conseguire un risultato irrinunciabile. E talmente importante che un militante dei Cinque Stelle sia sullo scranno alto di Montecitorio che ogni dubbio sul prezzo da pagare viene considerato un fastidioso ostacolo all’imporsi del sacrosanto obiettivo. Ecco perché con i Cinque Stelle, in questo avvio di legislatura che potrebbe durare tanto o poco e nessuno che lo sappia con certezza, la fame di poltrone si sposa con un’ideologia che fa della poltrona conquistata un trofeo. Questo incrocio di occupazione del potere e di ideologia sulla propria missione introduce un elemento di spregiudicatezza sconosciuta anche tra chi nella guerra per le poltrone ha in passato mostrato una supremazia collaudata sul campo: la corsa alle poltrone da parte dei Cinque Stelle non affievolisce il consenso che l’elettorato ha generosamente elargito lo scorso 4 marzo. Non è vista come un cedimento, una contraddizione, bensì come il segno di un successo. La democrazia parlamentare, però, non viene rafforzata da questa visione. E la tentazione della conquista di ogni spazio si trasforma facilmente in prepotenza e mancanza di rispetto per le minoranze. Non un buon inizio per una legislatura molto complicata
Pierluigi Battista (Corriere)
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