Finalmente le “adozioni in vicinanza” per i bimbi poveri di casa nostra

Cronaca Milano Solidale

Milano 9 Aprile – Strani gli itinerari della solidarietà. Quando si tratta di adottare a distanza un bambino sfortunato, aiutandolo a studiare e ad avere le stesse opportunità degli altri, siamo sempre stati più «global» che «local».

Forse perché malgrado tutto apparteniamo a quella parte fortunata di mondo che dovrebbe saper badare alla propria infanzia. Così è nato il fenomeno delle adozioni a distanza, quella pratica gestita da numerose associazioni e Ong che consente di versare dei soldi per finanziare la crescita di un minore che diventa una sorta di nostro figlio remoto, di cui riceviamo notizie e talora fotografie. Lontano dagli occhi ma vicino al cuore.

Poi a un certo punto ci siamo accorti che, a causa della crisi economica, anche nel nostro Paese, nella nostra regione, nel nostro quartiere c’è qualche bambino che non va al nido perché la famiglia non può permettersi la retta, o che deve indossare vestiti dismessi da altri. E la solidarietà si è «localizzata», si è colorata di un tocco identitario. «Se devo aiutare qualcuno – si è detto qualche anima bella – preferisco chi è più vicino a me».

È nata così l’adozione «in vicinanza», che permette di aiutare le famiglie italiane vittime della nuova povertà: in Italia infatti secondo i dati Istat oltre un milione e 200mila bambini vivono in condizione di povertà assoluta. In poco più di dieci anni l’incidenza della povertà tra i minori è passata dal 3,9 per cento del 2005 al 12,5 per cento del 2016: più che triplicata. Questi bambini non mangiano abbastanza, non hanno vestiti adeguati soprattutto per l’inverno, non possono comprare libri scolastici. Vivono male e pongono le basi per rinunciare a ogni chance di riscatto, perché si rinchiudono in un ghetto di emarginazione, visto che povertà economica ed educativa sono fedeli compagni di strada.

Per ora il fenomeno delle adozioni in vicinanza è molto limitato. Ma in turbinosa crescita. «Al momento sono 172 – ci dice Gioia Pissetti, responsabile ufficio adozioni a distanza e in vicinanza di Mission Bambini – i bambini che beneficiano di una retta agevolata o del tutto gratuita per l’iscrizione a diciotto nidi selezionati in tutta Italia». Strutture che sono in tutta Italia, soprattutto nel Sud (dieci tra Campania, Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna) ma anche a Roma, a Bologna e nella ricca Lombardia: a Milano, a Sesto San Giovanni, a Marcheno nel Bresciano. «Lavoriamo con enti del privato sociale, non del pubblico. Sono loro a fare le graduatorie per scegliere chi beneficia dell’aiuto consentito dai soldi da noi raccolti», spiega Pissetti.

Ecco, chi è che beneficia di questi aiuti e come viene scelto? E come fare per assicurarsi che sia una persona che merita davvero questo supporto e non – per dire – di qualcuno che tarocca l’Isee? «Sono bambini che vivono in Italia, e quindi in realtà metropolitane, sono spesso anche stranieri, mentre in contesti di provincia sono solitamente tutti italiani. Sappiamo naturalmente che i requisiti sono facilmente manipolabili, per questo ci affidiamo al lavoro delle cooperative che operano sul territorio e che conoscono davvero le realtà familiari». «Quando ho perso il lavoro di infermiera pensavo di ritirare Matteo dal nido – racconta Laura, una mamma novarese – ma con mia grande sorpresa al nido mi hanno detto che potevano aiutarmi offrendomi una retta agevolata. E questo ci ha permesso di superare un momento difficile».

La fondazione Mission Bambini (www.adozioninvicinanza.it, tel. 022100241, codice fiscale per il cinque per mille 13022270154), nasce nel 2000 per volontà dell’imprenditore Goffredo Modena. Inizialmente si occupa solo di adozioni a distanza (Paesi principali India, Kenya, Brasile, Filippine, Ecuador, Cambogia). Poi nel 2013 con il mordere della crisi l’idea di nazionalizzare alcuni progetti. Non il primo caso di aiuti all’infanzia italiana (Save the Children vanta 59 progetti con oltre 100mila beneficiari) ma il primo che mutua il concetto dell’adozione a distanza «accorciando» solo il concetto. E modificando alcuni dettagli. «Ad esempio c’è una clausola che riguarda la privacy per cui non possiamo dare informazioni al donatore sul bambino che aiutano. Possiamo allegare solo foto di gruppo».

Però c’è ogni anno un open day in cui chi vuole può andare a conoscere i nidi in cui ci sono i bambini «aiutati». «E spesso – ci dice Pissetti – capita che la famiglia di un bambino aiutato voglia conoscere chi dona i soldi. E sono momenti molto belli». Attualmente Mission Bambini aiuta solo bambini da 0 a 3 anni ma l’obiettivo è, con l’aiuto del privato sociale, di arrivare a coprire la fascia da 0 a 6 anni. Anche se il vero trionfo sarebbe quello di non dovere più aiutare nessuno». Le favole non esistono, ma la bontà umana per fortuna sì.

Andrea Cuomo (Il Giornale)

 

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