Milano 24 Aprile – Non c’è alleanza peggiore di un asse Cinque Stelle – Partito Democratico. Lo diciamo prescindendo dal merito delle questioni e da valutazioni predittive sulla qualità dell’azione di governo, ma solo sui vantaggi (pochi) e sui rischi (moltissimi) che potrebbero scaturire da una simile scelta. Lo diciamo, soprattutto, nel giorno in cui il presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico riceve dal Presidente della Repubblica un incarico esplorativo per sondare questa possibilità.
Partiamo dai numeri: è una maggioranza possibile sia alla Camera dei Deputati sia al Senato, ancorché molto stretta. Alla Camera potrebbe contare su diciassette seggi oltre la maggioranza assoluta – 31, contando pure quelli di Liberi e Uguali -, laddove al Senato potrebbe contare su 169, otto in più di quelli necessari, 13 contando quelli di LeU.
Tutto bene, quindi? Non esattamente. Perché il primo dato di fatto è che una maggioranza di questo tipo non potrebbe nascere se non col coinvolgimento attivo di tutti o quasi i deputati di ortodossa fede renziana, quelli che non tradirebbero mai il loro leader, e pure i radicali di +Europa. Liberi e Uguali, infatti, non ha i numeri per sostituirli. La prima mossa che dovrebbe fare Fico o Di Maio stesso, insomma, sarebbe quella di andare a parlare col “senatore semplice” di Firenze, seconda solo all’incontro con Berlusconi in termini di indigeribilità da parte dell’elettorato pentastellato.
Non sarebbe solo un problema di photo opportunity, in questo caso. A differenza di quanto valeva per Berlusconi, l’assenso di Renzi è decisivo per far nascere un governo di questo tipo. Per questo, potrebbe porre condizioni programmatiche al limite del provocatorio – ce lo vedete Di Maio dichiarare che no, il Jobs Act non si tocca? Ce li vedete quelli di LeU che ingoiano il boccone – così come rivendicazioni di posti e poltrone di non poco conto: per sé (si dice il ministero degli esteri) e a danno di altri (no a Di Maio premier, no ai suoi nemici interni al Pd in posizioni chiave nell’esecutivo). In un colpo solo, insomma, l’uomo dell’aventino tornerebbe in gioco con tutti e due i piedi, insomma. Ma anche lui dovrebbe fare i conti con le sua coerenza, soprattutto coi durissimi giudizi espressi contro il Movimento Cinque Stelle in campagna elettorale, tacciata da lui e dai suoi come una realtà al limite dell’eversione.
L’opinione pubblica, per l’appunto, è un ulteriore fattore di complicazione. Quella più ortodossa del Movimento Cinque Stelle, o chi l’ha votato in opposizione a Renzi e al Pd, si ritroverebbe spiazzata e delusa di fronte a questa opzione, così come del resto i frequentatori abituali della stazione Leopolda. Allo stesso modo, sarebbe difficile spiegare ai sostenitori di Liberi e Uguali, che – contrordine, compagni – bisogna tornare al governo col caro alleato rottamatore e con tutto il Pd.
Auguri, insomma. Più che un governo, quello tra Pd e Cinque Stelle sarebbe una polveriera pronta a deflagrare al più piccolo degli incidenti, o dei sabotaggi volontari. Tutto questo, per scongiurare un avvento di Salvini a Palazzo Chigi, sgradito al Quirinale e dalle parti di Bruxelles, avvento che, con ogni probabilità, sarebbe solamente rimandato di qualche mese, sull’onda del fallimento altrui. E poco cambierebbe – temiamo – con un premier terzo, magari un tecnico indicato dal presidente della repubblica, che si ritroverebbe in men che non si dica tra l’incudine democratico e il martello grillino, esposto ai venti dei distinguo e delle fronde, come ai bei tempi dell’Unione, la madre di tutte le coalizioni spurie. Insomma, una prospettiva illogica, da pazzi. In una legislatura altrettanto illogica e da pazzi, tuttavia, è un punto a favore. Ci sarà da divertirsi.
di Francesco Cancellato (Linkiesta)
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