Stereotipi e bugie sull’Italia di oggi: i veri poteri forti

Attualità

Milano 1 Maggio –  Scherzando ma non troppo si può dire che le consultazioni al Quirinale e gli incontri in vista della formazione del governo abbiano il grave difetto di non coinvolgere tutti quelli che dovrebbero essere coinvolti. A quelle consultazioni e a quegli incontri dovrebbero partecipare anche le delegazioni dei «poteri forti», gli unici poteri forti sopravvissuti in Italia: i vertici delle magistrature (ordinaria, amministrativa, costituzionale) e la dirigenza amministrativa. Gli orientamenti di queste tecnostrutture statali sono cruciali. Può anche formarsi un governo senza la loro benedizione ma in tal caso la sua navigazione sarà inevitabilmente agitata e precaria, e i suoi esponenti saranno costantemente a rischio di decapitazione politica.

La centralità di quelle tecnostrutture mi fa pensare, contro l’opinione di molti, che il Movimento 5 Stelle (il cui successo è soprattutto, a mio giudizio, un sottoprodotto, un «effetto collaterale», dell’operato di quelle tecnostrutture) non sia affatto l’equivalente di una bolla speculativa, ossia un fenomeno destinato a sgonfiarsi con la stessa velocità con cui è cresciuto. Con la fine della Guerra fredda finì anche l’era del predominio dei partiti sulla vita pubblica. Ma poiché la politica non ammette vuoti, quel vuoto venne rapidamente riempito dalle suddette tecnostrutture statali. Negli ultimi trenta anni la «politica rappresentativa» è diventata debole e ricattabile.

Ha dovuto cedere ampie fette di potere all’ amministrazione e alle magistrature. Sia chiaro: la cosa è molto preoccupante ma non è così strana come si potrebbe supporre. Le democrazie sono sistemi complessi in cui varie forze, di differente origine e con differenti funzioni (partitiche, economiche, statali, eccetera) si influenzano e cercano di imporsi reciprocamente il predominio. Talvolta si genera un equilibrio fra queste forze e allora la democrazia vive i suoi momenti più felici. Altre volte si generano squilibri e alcune forze diventano prevaricanti. In Italia siamo passati da uno squilibrio eccessivo a favore dei partiti (l’epoca della «partitocrazia») ai tempi della Guerra fredda, a uno squilibrio a favore delle tecnostrutture amministrative e giudiziarie nel periodo seguente.

Per capire il rapporto che c’è fra la potenza di quelle tecnostrutture e il successo del Movimento 5 Stelle bisogna sapere che, pur diverse, e spesso fra loro in conflitto, pubblica amministrazione e magistrature hanno in comune due cose: una bestia nera e una vocazione.

La bestia nera è rappresentata dai tentativi che di tanto in tanto la politica rappresentativa fa per risollevare il capino, per riguadagnare le posizioni politiche perdute. Quando ciò accade le tecnostrutture si compattano e vanno all’attacco: distruggere il potenziale uomo forte impegnato in quel tentativo presentandolo al pubblico come un novello Mussolini diventa per esse vitale.

Perché esse mantengano la posizione dominante che hanno acquistato dai tempi di Mani Pulite occorre che la politica resti per sempre debole. Le tecnostrutture in questione possono convivere pacificamente solo con gruppi ed esponenti politici disposti ad inginocchiarsi in loro presenza e a baciare l’anello.

Oltre a una bestia nera, quelle tecnostrutture hanno in comune una vocazione o, se si preferisce, un orientamento culturale. Si tratta di un orientamento che oscilla fra l’indifferenza e l’ostilità verso l’economia di mercato. Basta osservare come l’amministrazione difenda con le unghie e coi denti un’ impalcatura normativa fatta apposta per tenere in scacco le imprese e lontani dal Paese gli investitori esteri (la vera causa dell’ elevata disoccupazione giovanile). Certamente, l’incultura di molti parlamentari contribuisce al risultato mala sudditanza della politica rispetto all’amministrazione (la sola in possesso delle competenze tecnico-giuridiche) fa sì che su quest’ultima ricadano responsabilità pesanti. O si pensi ai gravissimi danni economici a carico della collettività prodotti da avventati procedimenti giudiziari contro aziende, i quali, molti anni dopo, finiscono, spesso, con assoluzioni «per non aver commesso il fatto». Per formazione (esclusivamente giuridica) e per forma mentis, gli esponenti di quelle tecnostrutture sono spesso refrattari a qualunque calcolo economico, e disinteressati — quando non ostili per principio — alle esigenze di aziende e mercati.

I 5 Stelle, con il loro apprezzamento per l’espansione della spesa pubblica e la loro ideologia anti-industriale tanto spesso manifestata (checché ne dica l’ultima versione del loro cosiddetto «programma elettorale»), hanno dato ampie prove di condividere lo stesso orientamento.

Soprattutto, i 5 Stelle sono la conseguenza, l’effetto finale, di una grande bugia che, negli ultimi trenta anni, è diventata una verità pubblica indiscutibile per moltissimi italiani: la grande bugia secondo cui la «corruzione percepita» (perla quale questi nostri concittadini credono che il loro Paese sia il più corrotto d’Europa o giù di ll) e la «corruzione reale» (la corruzione che davvero c’è in Italia) coincidono. Se non che, la corruzione reale — misurata dalle sentenze passate in giudicato nonche da osservazioni sui comportamenti degli operatori — risulta essere, punto più punto meno, nella media europea. L’Italia sembra a tanti italiani così massicciamente corrotta soprattutto a causa delle inchieste giudiziarie qui molto più numerose che altrove (e del connesso rumore mediatico): un fenomeno che, a sua volta, dipende dal diverso rapporto di forze che c’è in Italia fra magistratura inquirente, politica ed economia, rispetto a quello che si dà in altri Paesi europei. E la trentennale attività del «circo mediatico giudiziario» ad avere diffuso e imposto la grande bugia.

Ci sono evidenti affinità fra i 5 Stelle e i più potenti del Paese. E certo che del volere di questi ultimi essi sarebbero i disciplinati esecutori. Inoltre, c’è piena coincidenza fra certi stereotipi che le tecnostrutture, con la loro azione, hanno diffuso nel Paese e la «cultura politica» (per ciò che fin qui se ne è compreso) dei 5 Stelle. Non danno l’impressione di essere una bolla speculativa.

Angelo Panebianco (Corriere)

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