Il cognome dei nuovi imprenditori è Hu. Ma non chiamatela sostituzione etnica

Attualità

Sei anni fa ho aperto la mia Partita Iva. Nel corso di questo tempo ho aperto tre società e ne amministro altre due. Sono un imprenditore seriale. La mia non è una professione, è una malattia. Per questo non ho nulla contro nessuno che rischi i propri soldi in questo paese. Perché ne conosco le difficoltà, le asprezze e la frustrazione. Ci sono, però, alcuni dati che devono fare riflettere, che prenderò da Repubblica, per togliere dal tavolo ogni sospetto di razzismo:

Secondo i dati riportati dal Registro delle Imprese nei primi nove mesi del 2017, sono 106 i nuovi imprenditori che fanno Hu di cognome (83 risiedono a Milano, 20 in provincia di Monza), una decina di loro sono nati in Italia da famiglia cinese. Sempre nella classifica dei cognomi più diffusi seguono Chen (72), Zhang (47) e Zhou (40).

Gli Hu sono maggiormente rappresentati nel commercio (29), nell’alloggio e ristorazione (28), negli altri servizi (33) e nel manifatturiero (14). Per quanto riguarda le costruzioni, invece, è Mohamed il cognome più rappresentato tra i titolari di nuove imprese individuali nate nei primi nove mesi dell’anno.

Questi numeri portano con sé alcune interessanti riflessioni: 1. Al netto di quelli nati qui, gli altri vengono da un paese comunista, dove la cultura di impresa non è certo incoraggiata 2. Se la nostra burocrazia a noi sembra arabo, a loro deve sembrare Klingon. E, di fatto, probabilmente lo è. È proprio un mondo alieno, che non ha minimamente senso, che non ha alcuna logica e che può distruggerti in qualsiasi maniera. 3. Quando investono non hanno il supporto di banche, reti di amicizia locali (per locali intendo gente profondamente inserita nel tessuto sociale. Insomma, se hanno bisogno di capire dove sia finita la loro pratica non hanno un consigliere comunale di riferimento) 4. Se perdono tutto non hanno un piano B a portata di mano 5. Eppure hanno successo, e perseverano 6. Non è un fatto interamente etnico, come dimostrano gli orgogliosi muratori Mohamed, capaci di investire in un settore mai uscito dalla crisi, come il mattone.

Quindi? Quindi il loro segreto è che ci credono. Credono che il rischio valga la pena. Non credono nel posto fisso. Non credono nei diritti sindacali. Non credono che la società gli debba qualcosa. Credono nelle loro capacità, nella propria resistenza ed in un domani migliore. Noi no. Noi crediamo che lo Stato Sociale dal palco di San Remo che fa un monologo delirante sulla lunghezza dei cognomi dei politici sia qualcosa di collegato al lavoro. Noi affolliamo i concorsi pubblici. Noi pretendiamo tutele per quelli che consegnano pizze a domicilio. Hu, invece, pretende solo di essere lasciato in pace. Non sono dei santi, ovviamente. Nessuno di noi lo è. Ma di sicuro un paio di cose sull’attitudine al sacrificio, sul duro lavoro e su come sopravvivere a questo Stato da loro potremmo anche impararle.

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