Aquilante il cavallo anarchico

Zampe di velluto

Brancaleone da Norcia è un nobile cavaliere medievale povero e sbruffone. Si tratta di un personaggio che nasce dalla fantasia degli sceneggiatori del film ‘L’armata Brancaleone’, girato nel 1966 in un dialetto umbro marchigiano.

La condizione di Brancaleone non deriva dal fatto che avesse dilapidato i suoi beni, ma dal fatto che il padre morì quando lui aveva appena nove anni e la madre si risposò con un uomo che tentò di ucciderlo. Il sicario però, mosso a compassione, gli risparmiò la vita. Brancaleone fu dunque costretto a sopravvivere di espedienti vagando per i boschi. All’età di venti anni fa ritorno a Norcia deciso a reclamare il suo titolo, ma scopre che la madre e il patrigno hanno scialacquato tutti i beni prima di morire. L’unica cosa di cui può entrare in possesso sono i debiti da pagare. Sfuggito coraggiosamente all’arresto, al giovane non resta altro che vagare per tutta l’Italia a cavallo del suo dispettoso Aquilante, destriero di colore giallo nato da un incrocio di un mulo e una giumenta. Con lui partecipa a tornei di cavalieri cercando di rimediare qualche premio.

Poco prima di uno di questi tornei, mentre è indaffarato a rincorrere il suo Aquilante che non ne vuole sapere di sottomettersi al suo padrone, incontra una combriccola di bizzarri personaggi che esibisce un documento che promette un feudo ad Aurocastro nelle Puglie al cavaliere che si presenti esibendolo.  Nessuno della combriccola detiene però il titolo per entrarne in possesso; pertanto è necessario trovare un cavaliere assai spiantato e desideroso di sistemarsi: un nobile cavaliere quale Brancaleone per l’appunto.  Chiedono pertanto a Brancaleone di guidarli al possesso del feudo secondo quanto stabilito dalla pergamena imperiale scritta da Ottone I. Nel porgli il documento affermano di averlo rinvenuto in modo del tutto lecito e casuale, in realtà lo hanno strappato dalle mani del legittimo proprietario, un cavaliere morente dopo una battaglia. In principio Brancaleone non vuole mettersi al comando di un gruppo di straccioni e rifiuta con disprezzo.

Ma poiché Brancaleone perde il torneo per la viltà del suo cavallo, che apostrofa quale “Aquilante malo caballo“, decide di considerare la proposta di mettersi a capo del manipolo di miserabili e guidarli alla volta di Aurocasto. Durante il percorso verso il Sud della penisola, l’armata si arricchisce di ulteriori personaggi, anch’essi caratterizzati dalla stessa necessità di sistemazione che accomuna tutti i protagonisti della storia.

Spinto dalla brama di conquista, ma anche dalla fame, il gruppo si trova a saccheggiare un paese che scopre essere deserto. Brancaleone, brandendo una spada, si domanda: “Son forse tutti spariti al nostro apparire?”. Segue un affannoso e ingordo correre dentro le case, dalle quali escono con formaggi, salsicce appese al collo, vasellami e abiti al grido: “Qui c’é cacio e sosizza!” E nessuno si domanda cosa sia il fetore che avvolge l’intero paese.

Solo quando è troppo tardi Brancaleone si rende conto che gli abitanti non se l’erano data a gambe per paura dopo averli scorti, ma scopre che il paese è desolato a causa di una pestilenza con la quale l’armata si deve oramai essere inesorabilmente contagiata. Inizia a correre di qua e di là, chiamando a raccolta la schiera e urlando: “La peste, la peste, omini, la peste!” Gli uomini escono dalle case precipitosamente e iniziano a sputare i cibi che stanno già masticando e si strappano di dosso i vestiti con cui si sono addobbati.

Aquilante, la peste!!!” urla poi Brancaleone al suo cavallo. Il “malo caballo”, che sta ruminando in un angolo, pur non comprendendo la gravità della situazione inizia a scappare senza neppure attendere il padrone che lo insegue, a sua volta inseguito precipitosamente da tutti gli altri.

Ormai contagiati, e ritenendo di non poter sfuggire alla sorte, decidono che è inutile andare fino ad Aurocastro per reclamare un titolo del quale non sanno più cosa farsene e si pongono al seguito di alcuni  pellegrini malconci di Frate Zenone diretti in Terra Santa alla conquista del Santo Sepolcro. Frate Zenone, però, proprio mentre esorta i suoi pellegrini a farsi coraggio per attraversare il malsicuro ponte che gli sta dinanzi nutrendo la fede che Dio li protegge, cade dal ponte nel fiume sottostante e scompare. Non avendo più una guida che li porti a Gerusalemme, e consta tanto che non sono morti di peste, “l’armata” Brancaleone riprende la strada per Aurocastro.

Giunti infine a destinazione Brancaleone esibisce tramite la pergamena il suo diritto al possesso. In contemporanea dei pirati saraceni invadono la città. Brancaleone, mostrando il consueto coraggio, decide di tenergli testa preparando una trappola. Tutto viene accuratamente pianificato, ma per colpa di alcuni disguidi, è proprio l’armata Brancaleone a cadere nella trappola che ha preparato per i saraceni.  Aquilante, che non è del tutto estraneo al fallimento del progetto di catturare i saraceni, se ne sta a mangiare fieno indifferente alla condanna di impalamento dell’intera armata Brancaleone. E neppure i condannati si aspettano un eroico intervento di Aquilante che pure stupido non è. La salvezza per l’armata giunge da una fonte inaspettata: all’improvviso sopraggiunge un piccolo esercito di crociati che riesce a sbaragliare gli invasori rigettandoli a mare. Purtroppo per loro, il cavaliere che li ha salvati si rivela essere il cavaliere erroneamente creduto morto all’inizio della storia. Questi, il vero e legittimo destinatario della pergamena, condanna Brancaleone e i suoi al rogo come ladri e usurpatori: fa legare i prigionieri appena liberati per bruciarli vivi, ma ecco un nuovo colpo di scena: arriva frate Zenone, scampato alla morte dalla rovinosa caduta, e convince il cavaliere a cedergli i prigionieri, in quanto ancora legati al voto di seguirlo nella crociata per liberare il Santo Sepolcro. Ottenuta la liberazione, non resta che ripartire per Terra Santa.

Termina così la prima parte del film, il seguito avrà un nuovo titolo: “Brancaleone alle crociate”.

In questa seconda puntata la combriccola del frate sta vagando già da molto tempo per il Sud Italia,in cerca del Mar Mediterraneo, ma senza successo. In quel periodo i papi che si contendevano il soglio pontificio erano due. Dato che Zenone si manteneva fedele a papa Gregorio, un’imboscata ordita dai fedeli di papa Clemente annienta l’intera combriccola di pellegrini e la seppellisce a gambe all’aria con il capo mozzato. Brancaleone, sopravvissuto perché rimasto chiuso sotto una barca, invoca la Morte che giunge per ucciderlo. Questa si presenta e allora Brancaleone, spaventato, tenta di esimersi dal suo desiderio di terminare i suoi giorni; ma il ‘Tristo Mietitore’ annuncia che ormai è impossibile a meno che non decida di morire da solo in qualche combattimento. Brancaleone promette e intanto si mette in marcia, incontrando vari personaggi bizzarri che comporranno la sua nuova armata insieme ai pochi superstiti della strage compiuta dai seguaci di Clemente. La nuova armata sarà ancora protagonista di tante avventure.

Aquilante non è una figura dominante nel film, però è costantemente presente e si impone col proprio carattere. Il suo padrone non impreca contro il suo destriero solo con frasi “Aquilante, malo caballo!”, e “Aquilante della malasorte!”. E’ disposto anche a concedergli qualche merito: «Seguimo Aquilante, lui conosce la via della fuga!» dice quando si tratta di scampare a qualche pericolo e il suo destriero rifiuta di farlo salire in groppa. Aquilante non è cieco e ottuso come Gondrano, malmesso come Ronzinante o epico come Pegaso; lui è anarchico e indipendente, tanto da indurre Brancaleone a preferire il duello a piedi, piuttosto che in sella al suo poco disponibile destriero.

Michela Pugliese

https://www.hoepli.it/ebook/cavalli-e-ronzini/9788827805336.html

https://gocciadinchiostro.wordpress.com/

 

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