Milano 6 Maggio – “Cacciare Roman Polański è stata una misura ingiusta e crudele per salvare le apparenze… inoltre non cambia nulla nel sessismo hollywoodiano, anzi dimostra semplicemente che essi si divorano l’un l’altro”.
Ci voleva la coraggiosa Samantha Geimer, “vittima” a suo tempo di Roman Polański per un rapporto sessuale subito quando aveva poco più di tredici anni, nel 1973, sotto l’influsso della personalità carismatica del pluripremiato regista (oltre che di droghe allucinogene come l’Lsd che all’epoca erano un “must” a Hollywood), per ristabilire l’ordine della logica nella isterica campagna del #metoo che adesso ha convinto l’Accademia per antonomasia a cacciare dal proprio board lo stesso Polański insieme all’attore Bill Cosby.
Nel proprio blog la Geimer – a suo tempo risarcita da Polański con un numero non insignificante di milioni di dollari, e autrice di un libro molto bello che si chiama “The girl: a life in the shadow of Roman Polański”, nel quale non racconta tanto lo stupro, ma la follia del post sessantotto americano in cui lo star system promuoveva l’amore di gruppo e il consumo di droghe “a gogo” con la stessa leggerezza con cui oggi ci vende il suo moralismo peloso – si rifiuta di aderire all’ipocrisia imperante di quelli che adesso tuonano contro Harvey Weinstein o Woody Allen. Magari prescindendo dal principio di non colpevolezza o di un giusto processo che non sia quello mediatico.
Quella stessa ipocrisia – mutatismutandis – che fa dire a Laura Morante, nipote della ben più famosa scrittrice Elsa, di aver vissuto come un peso quel cognome cui in realtà deve la propria scalata nel cinema italiano. Lo dice in un’intervista a “Leggo” spiegando il motivo di perché solo adesso avrebbe finalmente trovato il coraggio di scrivere un libro. Se invece non si fosse chiamata Morante di cognome, lo avrebbe fatto “ben prima”. Già, ma chi glielo avrebbe mai pubblicato? Si fosse chiamata Laura Buffa (che per pura coincidenza è il nome di una mia cara cugina, ndr), avrebbe mai debuttato nel cinema? Un altro dei problemi dell’Italia di oggi sono proprio questi artisti che si sono messi in testa di fare da consulenti culturali al grillismo imperante. Si stanno trasformando in un ammasso informe di chierici traditori. E forse la crisi del cinema si può spiegare anche analizzando sotto la lente di ingrandimento i loro comportamenti mediatici e le loro velleità politiche.
Dimitri Buffa (L’Opinione)
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