Milano 7 Maggio – Bisognerebbe inventare un Beckett anche oggi per mostrare all’uomo la sua stupidità, soprattutto se è un politico. Con l’eleganza di una rappresentazione che rivoluzioni i tempi, le regole, l’azione, il dialogo di una politica che a ben vedere può essere ascritta al teatro dell’assurdo, con le sue sparate, i silenzi strumentali le pause di furbizia. Per gridare, ma non dire niente, per affermare senza dialogare, seguendo un non copione che appartiene al non sense e ad una incapacità di usare il buon senso.
E gli italiani aspettano sulla strada dell’incertezza, dell’insicurezza, a volte della fame. Ma da 60 giorni sono protagonisti ormai involontari di una commedia che poi si fa tragedia e poi gag da cabaret nel tempo che si dilata e diventa un pugno in faccia, un insulto. Anche l’albero che Beckett vuole nella prima scena metafora della speranza è morto, sepolto dalle troppe parole, dai gesti isterici, dagli egoismi di guitti mediocri che non usano il cuore.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano