Milano 9 Maggio – Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, a conclusione del terzo, infruttuoso, giro di consultazioni per la formazione del governo, si è rivolto alla nazione. Ha spiegato con linguaggio didascalico cosa è accaduto, quali scenari si configurano e quali sono i rischi per la stabilità finanziaria del Paese.
Quindi, Mattarella ha prospettato la soluzione che era nell’ordine delle cose fin dall’avvio delle trattative tra i partiti, all’indomani del 4 marzo: affidare a un “Governo neutrale” il compito di traghettare il Paese verso nuove elezioni, auspicabilmente non prima di aver messo in sicurezza i conti pubblici, di aver battuto un colpo in Europa e di aver ritoccato la legge elettorale onde evitare nuovi imbarazzanti stalli. Mattarella si è preoccupato di rappresentare la situazione non mancando di lanciare la palla nel campo parlamentare. Perché è di tutta evidenza che lo scoglio contro il quale è destinato a schiantarsi anzitempo il “Governo neutrale del Presidente” affiorerà nelle Aule di Camera e Sentato al momento della conta sulla fiducia. Stando alle dichiarazioni degli odierni protagonisti non c’è possibilità alcuna che la soluzione a cui Mattarella si accinge a dare l’imprimatur abbia speranze di successo. Troppo male hanno fatto i cosiddetti “governi tecnici” perché ci si possa fidare. Il ricordo di Monti e della Fornero brucia ancora sulla pelle degli italiani per cui nessun leader e nessun partito, ad eccezione dei “dem” che potrebbero starci perché non hanno più niente da perdere, pensa di farsi carico di una scelta che gli elettori non capirebbero. Soprattutto in procinto di affrontare una campagna elettorale che si annuncia una sfida all’O.k. Corral tra i vincenti non-vincitori del 4 marzo. Nessuna fiducia dunque dai Cinque Stelle; nessun sostegno dal centrodestra. Tutto.
I soliti opinionisti, che hanno fatto il tifo per l’unico risultato che poteva interessargli cioè la rottura tra Salvini e Berlusconi, resteranno molto delusi. Non perché i due leader del centrodestra si amino. Semplicemente, il livello del negoziato tra le componenti della coalizione si è spinto talmente avanti che ipotizzarne l’interruzione, con la conseguente separazione dei destini, è impossibile. Salvini ha resistito alle pressioni dei Cinque Stelle perché mollasse Berlusconi, volete che il vecchio leone di Arcore non ricambi la cortesia? E seppure per un momento Forza Italia fosse tentata di assecondare Mattarella, tradendo il patto con gli alleati, il suo gesto non servirebbe a nulla perché il niet congiunto di Lega, Cinque Stelle e Fratelli d’Italia al “Governo neutrale” è già maggioritario in entrambi i rami del Parlamento. Ciò che, invece, appare più problematica è la gestione del dopo-sfiducia. Le regole dicono che si deve tornare a votare. Ma quando? I mancati protagonisti del matrimonio del secolo, Salvini e Di Maio, non hanno dubbi: scioglimento immediato delle Camere e voto in luglio. Si tratterebbe di un’ipotesi agibile sulla carta, ma non nella realtà a meno di voler conculcare il diritto sovrano del popolo. Già da anni le caratteristiche del nostro sistema produttivo hanno imposto una diversa scansione dei periodi feriali. Non si va più in vacanza tutti ad agosto ma, come ampiamente attestano i flussi turistici, i tempi di pausa programmata coprono l’intera stagione estiva, dalla fine di giugno a settembre inoltrato. Collocare un’elezione in tale periodo precluderebbe a moltissimi italiani la partecipazione al voto provocando un’astensione record. Cosicché, in assenza di un quorum per la validazione dell’esito elettorale, l’Italia si ritroverebbe per i prossimi cinque anni un governo scelto da una sparuta pattuglia di elettori. Meglio sarebbe fissare la data del voto nel primo autunno, a cavallo tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre. Ma, avverte il capo dello Stato, c’è un rischio: spingendosi in là nel calendario non si farebbe in tempo a insediare il nuovo governo che predisponga la legge di bilancio. La conseguenza sarebbe l’esercizio provvisorio che, tra i danni più rilevanti, comporterebbe l’impossibilità a disinnescare la famigerate clausole di salvaguardia, che significa ritrovarsi, in automatico, l’aumento dell’Iva al 24,2 per cento dal primo gennaio del prossimo anno. È su questo argomento che il “Colle” intende far leva per convincere i partiti a sostenere il “Governo neutrale” almeno fino alla fine dell’anno. La preoccupazione è reale ma la soluzione auspicata dal Quirinale non è ricevibile. Anche questa è democrazia: i partiti che non hanno saputo trovare la quadra per formare un governo politico oggi, spingendo per un ritorno immediato alle urne, devono assumersi la responsabilità davanti agli elettori di esporli a un rischio concreto. Se non vogliono pagare caro la loro scelta spieghino agli italiani come pensano di mettere in sicurezza il Paese neutralizzando l’incidenza del fattore temporale nella determinazione del passaggio elettorale.
Tuttavia, c’è da ricordare che per troppo tempo si sia proceduto vanificando la volontà degli italiani col pretesto di un’emergenza in atto da fronteggiare. É giunta l’ora di rispondere alla domanda: la ragion di Stato può sempre e comunque deviare il corso naturale della democrazia? Dopo sette anni di forzature istituzionali e una sequenza di quattro governi non espressi dal voto dei cittadini, sarebbe opportuno fare definitiva chiarezza sul senso d’inderogabilità del principio di sovranità, pilastro portante dell’architettura democratica dello Stato. Anche se ciò dovesse costare caro. Ma quando mai è successo che il popolo la propria libertà non l’abbia pagata?
Cristofaro Sola (L’Opinione)
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