Milano 9 Maggio – Trucioli al ragù. Grandi, spessi e irregolari. Un tipo di pasta che cuoce in quattordici minuti ma può resistere anche oltre senza mai deformarsi. Su questo Antonio Menga è un esperto. Ha 56 anni, ha lavorato come cuoco da quando era adolescente. Oggi, però, la sua cucina è il marciapiede, in via Mascagni, proprio difronte all’ex cinema Nuovo Arti.
Viso rugoso, segnato e colorato dai raggi solari. Occhi azzurri, sguardo schivo, anche se a tratti regala sorrisi amari che mostrano il suo passato, fatto di tante sofferenze. Vive per strada da più di quindici anni, la sua «casa» è sotto i portici accanto alla Palestra Doria. I residenti della zona lo chiamano «lo chef» perché quando può, cioè, quando ha i soldi, va al supermercato a fare la spesa e prepara pietanze con il suo fornello elettrico: «Se ho dieci euro vado a comprare cibi freschi — racconta —. Il sale, lo zucchero, il caffè, i piatti, i bicchieri, le padelle e la moka li porto sempre con me in una valigia. Sono il mio tesoro». Spesso condivide le sue preparazioni con gli universitari che frequentano la biblioteca del dipartimento di Scienze politiche della Statale: «Mi piace ascoltare i ragazzi, guardarli in faccia e cercare di carpire i loro sogni». Cosa preferisce cucinare? «Piatti semplici ma gustosi, basta poco per dare sapore: qualche foglia di basilico, di menta o una spezia. Io, comunque, adoro le mezze maniche con i gamberetti, quando posso li acquisto». Antonio ha una grande dignità, lo si capisce subito. Maglione rosso, jeans scuri e scarpe da ginnastica blu: «I vestiti me li regalano le persone che vivono qui intorno. Una signora mi ha anche portato il pigiama in ospedale: mi hanno operato d’urgenza per un’ulcera perforante al Policlinico»
I milanesi è come se lo avessero adottato, lo salutano passando per via Mascagni e durante i mesi più freddi organizzano una colletta per farlo dormire in un albergo: «Un posto semplicissimo in zona Loreto», rivela. Si è fatto voler bene per la sua educazione, la discrezione, la bontà d’animo e la sua storia. Di origine è pugliese, nato a Brindisi, è arrivato nel capoluogo lombardo a 14 anni: «Per cercare un lavoro e non pesare sui miei genitori. Ho incominciato come aiutante di un cuoco professionista». Si è innamorato: «Ho conosciuto una ragazza, ci siamo sposati quando avevo 21 anni, sono nate due figlie, oggi hanno 25 e 19 anni, la prima lavora e la seconda studia». Poi, è iniziato il periodo buio: «Ho perso il lavoro — riferisce —, non riuscivo a trovare un altro posto fisso, mia moglie era casalinga e i soldi mancavano. Da lì sono esplosi i problemi, i litigi, i malumori e ci siamo separati. È stata una sofferenza enorme per me, amavo tantissimo la mia compagna e la mia famiglia. Non avrei mai voluto andar via, soltanto che la situazione era diventata insostenibile». Dopo alcuni lavoretti saltuari è finito in strada, ha provato a cercare un impiego ma senza alcun risultato. La voglia di rimettersi in gioco non gli è mai passata: «Vorrei trovare un’occupazione, sarei disposto a fare qualsiasi cosa pur di permettermi un alloggio decoroso e riallacciare i rapporti con le mie ragazze». Da quanto tempo non le vede? «La maggiore da anni, la più piccola è passata di qui, ma ci siamo soltanto salutati senza neanche scambiare due parole». Ha dei fratelli? «Sì, due — risponde Antonio —. Uno è rimasto in Italia e l’altro è espatriato in Germania. Mi sono chiesto più volte se raggiungerli o meno per cercar di cambiar vita, però il tormento di essere considerato un peso morto è stato più forte. E sono rimasto qua, in via Mascagni».
Rossella Burattino (Corriere)
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