Milano 15 Maggio – Un applauso interminabile, ovazioni e un po’ di magone hanno salutato, ringraziato e reso omaggio a Ferruccio Soleri, l’Arlecchino. L’attore ha infatti deciso di lasciare definitivamente il ruolo della maschera goldoniana che già negli ultimi anni alternava con Enrico Bonavera, da ora interprete ufficiale. Il “passaggio” del testimone è stata una festa al Piccolo Teatro di via Rovello, a conclusione delle repliche milanesi del Servitore dei due padroni di Giorgio Strehler, il più longevo spettacolo del teatro italiano, in scena dal’47. Di quel “pezzo di storia”, Soleri è stato il protagonista — di fatto è l’unico ruolo della sua lunga carriera — dal ’63 e per 2.283 volte, diventando sia un guinness dei primati, sia un simbolo. Tanto che tra qualche giorno, anche la capitale, al Teatro di Roma, gli renderà omaggio. Ma non è tutto. In tanti anni l’Arlecchino di Strehler e Soleri ha portato in oltre 40 Paesi del mondo non solo una “macchina spettacolare” straordinaria (come scrisse Ugo Volli su queste pagine in una delle tante edizioni allestite da Strehler) anche oggi, quando inevitabilmente si sono forse un po’ sbiaditi i dettagli, ma è anche parte dell’identità collettiva di Milano. Perché L’Arlecchino ha attraversato la storia della città: gli anni dei sogni nei Sessanta’60 e quelli scuri “di piombo” nei Settanta70, gli anni della contestazione e quelli del riflusso e del conflitto (anche personale di Strehler) con la giunta leghista. E anche per questo, come Milano, Arlecchino è rinato dal’47 a oggi decine di volte, con i suoi lazzi e malinconie, ricchezze e povertà. Perché non trasformarlo in un simbolo reale? Magari una statua in una piazza, come Garibaldi e Cavour. E pure più colorato.
Anna Bandettini (Repubblica)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845