La credibilità è decisiva. Le contraddizioni Salvini – Di Maio

Attualità

Milano 21 maggio – Accettereste di firmare un contratto con Di Maio e Salvini? Qualche dubbio, dopo la sceneggiata di questi giorni, è legittimo. E verrebbe forse anche tra coloro che hanno votato Cinque Stelle e Lega. Proviamo per un attimo a immaginare se l’alleanza dei due populismi italiani fosse stata firmata — magari davanti alle telecamere di Bruno Vespa e sulla celebre scrivania di Berlusconi — in piena campagna elettorale. Il risultato del 4 marzo sarebbe stato lo stesso? Ipotesi suggestiva ma impropria. Ne ha parlato sul Corriere Aldo Cazzullo. Siamo in un sistema proporzionale e le alleanze si fanno dopo. Anche le più ardite, le meno confessabili. Avendo i voti, è giusto che Lega e Cinque Stelle ci provino. Lascia perplessi il fatto che un monumentale quanto generico contratto sia «validato» da un po’ di clic e con un referendum ai gazebo solo su alcuni punti. Ma tant’è. Agli osservatori stranieri che sono tornati a interrogarsi pesantemente sul futuro dell’Italia, rispolverando i peggiori pregiudizi, rispondiamo in un solo modo. La garanzia costituzionale espressa dalla presidenza della Repubblica è solida. E siamo sicuri che Mattarella impedirà avventure troppo pericolose per i nostri conti pubblici, in ossequio all’articolo 81 della Costituzione. E sarà custode rigoroso della collocazione internazionale dell’Italia, specie in Europa. Basterà, ci chiedono? Aggiungiamo che pragmatismo e prudenza non mancano in alcuni degli esponenti dei due schieramenti. Ma non basta ancora. economia è fatta di aspettative, purtroppo. Mercati e investitori si muovono sulla base delle previsioni. Gli annunci contano e costano. Come ridiscutere la Tav o chiudere addirittura la più grande struttura industriale del Sud. Ci sono contratti firmati, penali stratosferiche ma soprattutto c’è il lavoro e il reddito degli italiani. Nelle relazioni internazionali è decisiva la credibilità personale, la coerenza nelle scelte del governo di cui si fa parte, la serietà sugli impegni. Dire o scrivere una cosa e poi smentirla fa crescere negli interlocutori perplessità e pregiudizi. Nel gioco perverso delle aspettative anche la figura del premier si svaluta. E se anche saltasse fuori un nome di qualità (ce lo auguriamo) faticherebbe non poco a recuperare autorevolezza e rispettabilità. Nelle grandi questioni europee che si dibatteranno nei prossimi mesi (bilancio 2021-2027, migranti, riforma dell’Eurozona) il presidente del Consiglio si troverà in perfetta solitudine davanti agli altri leader al momento delle decisioni. Un portavoce, l’esecutore del «contratto», sarà solo un fantasma. La vaghezza programmatica, in un lungo documento povero di numeri, non aiuta. Non importa se poi il reddito di cittadinanza non si riesce a introdurre prima del 2020, se l’IIva prima si chiude e poi si riapre, se il condono è pieno e poi così così. Forse il futuro probabile nuovo governo non sarà nemmeno in grado di spendere i 65 miliardi di costo stimato del «contratto». Importano le intenzioni, soprattutto le peggiori, perché lasciano un segno indelebile, al di là del fatto che non si tramutino in azioni concrete. Incrinano i legami di fiducia. Fanno crescere dubbi e sospetti. Hanno un costo immediato. Non soltanto sul famigerato spread, criminalizzato a lungo da tutto il centrodestra come falso indicatore della salute di un Paese o, peggio, come strumento di un ipotetico complotto contro Berlusconi nel 2011. Ma soprattutto sull’atteggiamento degli investitori esteri che hanno più del 3o per cento del nostro debito pubblico e il 95 per cento del flottante in Borsa. Nel documento è rimasta l’idea di pagare in mini-Bot i fornitori delle amministrazioni pubbliche. Questa sorta di moneta parallela, che poi è nuovo debito — come ha spiegato Federico Fubini sul Corriere — rafforza l’idea, sbagliata crediamo, ma contano purtroppo le aspettative, che l’Italia tenti di sottrarsi al vincoli propri della moneta unica. Sarà utile, a questo punto, raccontare un episodio significativo. Nelle scorse settimane è stato presentato a Roma il rapporto di Economia Reale, un centro studi presieduto da Mario Baldassarri, ex viceministro di un governo Berlusconi, in cui si ipotizza una manovra da cento miliardi con la quale sarebbe possibile fare un po’ di reddito di cittadinanza e ridurre le tasse. A patto però di dare una sforbiciata severa e preventiva a sussidi, trasferimenti e acquisti. Rapporto commentato dal rappresentanti di tutti gli schieramenti. Quando è stata la volta *** di Claudio Borghi, la platea è rimasta colpita dal sarcasmo mostrato dall’onorevole leghista, coautore del «contratto per il governo del cambiamento», per le idee esposte da alcuni relatori. Non degli sconosciuti: l’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini, l’ex direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli, l’ex membro del direttorio di Banca d’Italia Pierluigi Ciocca. La sostanza del ragionamento di Borghi era che del debito non bisogna preoccuparsi, lo ha già monetizzato la banca centrale. Ricordando l’episodio, si capisce da dove sia venuta l’insana idea, svelata dall’Huffington Post, di chiedere a Francoforte la cancellazione di parte del nostro debito. «Ma tutto ciò — gli venne obiettato da Mario Baldassari durante il convegno — significa uscire dall’euro?». S’i ha risposto un sincero Borghi. «E allora perché non l’avete messo nel programma di centrodestra?». «Perché gli altri non hanno voluto». Quell’idea sul debito non compare più fortunatamente nel «contratto per il governo del cambiamento». Lega e Cinque Stelle hanno assicurato che l’euro non è in discussione, ma nel gioco perverso delle aspettative spesso i comportamenti sono più rapidi delle parole scritte. La prudenza, virtù di chi governa, dovrebbe consigliare al futuro premier di accettare l’incarico solo davanti a una «clausola di salvaguardia nazionale» che Mattarella nei fatti ritiene indispensabile. Niente scorciatoie pericolose. Si rischia di essere declassati e di perdere quel grado di investimento al di sotto del quale anche la Bce non ci comprerebbe più i titoli, considerandoli spazzatura. Prima si fanno i risparmi poi si attuano i programmi. Se ci si riesce.

Ferruccio De Bortoli (Corriere)

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