Il nuovo governo e il Russiagate all’italiana

Attualità

di Piero Calamai

La formazione del nuovo Governo, dopo una settimana così avvincente che ha trasformato la Maratona Mentana in una staffetta tra lui e Giletti, ha portato al vertice di alcuni ministeri personalità sconosciute al grande pubblico. Tra queste si registra la presenza di Elisabetta Trenta, indicata come ministro del Dicastero della Difesa già nella bozza di squadra di Governo che, il Movimento 5 Stelle, ha presentato al Presidente della Repubblica nei primi giorni di marzo. Il Ministro Trenta vanta un curriculum abbastanza specialistico, avendo servito nelle Forze Armate in qualità di ufficiale della riserva, che è un modo militarese per dire che l’Esercito ti fa un contratto a tempo determinato di 6 mesi, perché ha bisogno di un “lavoratore stagionale” (leggi in qualche missione all’estero) che abbia una competenza specifica. Il Ministro Trenta, inoltre, è coordinatrice didattica e docente alla Link Campus University nel master di 2° Livello di Intelligence e Sicurezza.

Fin qui tutto bene, le referenze sembrano buone, soprattutto se paragonate a qualche Ministro del passato; negli scorsi giorni però, l’ottimo De Feo di Repubblica, ha scavato un po’ più a fondo portando alla luce alcuni contatti del neo-ministro. La Link Campus, infatti, ha dei legami con le università russe (la Lomosov per esempio) molto care al presidente russo Putin e presso le quali lavorano, o hanno lavorato, personaggi implicati nel Russiagate o nella guerra d’informazione russa quali, tra gli altri, Olga Zinovieva che dalle colonne di Sputnik ha chiesto di far ritirare il Premio Nobel a Barack Obama e processarlo per crimini di guerra. Il ministro Trenta ha fatto anche un master a Mosca, cosa che, curiosamente, non è riportata sul curriculum disponibile sul sito del Ministero della Difesa. Le competenze della Dottoressa Trenta vanno anche oltre: alla Link Campus (come si evince dal CV presente sul sito del Ministero) è responsabile anche del rapporto con il CIFIGE, il centro di formazione della Difesa per tutti i militari che lavorano nell’intelligence. Questi legami sono abbastanza inquietanti perché viene da chiedersi se adesso le collaborazioni/convenzioni tra Ministero Difesa e Link Campus aumenteranno e se l’università e la coordinatrice didattica del corso, che hanno avuto contatti con la Russia, abbiano in qualche modo profilato gli studenti, in particolar modo quelli militari che lavorano nell’ambito intelligence e se le informazioni, legittimamente ottenute, siano state sempre protette nel modo adeguato, senza metterle nella disponibilità di qualche paese straniero; potrebbe essere molto interessante per qualcuno sapere chi lavora nelle nostre strutture di intelligence militare, con quale ruolo e magari seguirne la carriera. Questi dati che possono sembrare innocui, potrebbero servire ad influenzare i nostri militari che rappresentano i catalizzatori attraverso i quali arrivano le informazioni ai nostri comandi militari e sulla base delle quali vengono prese le decisioni.

Per adesso però l’attenzione dell’opinione pubblica pare concentrata sul ruolo del marito della dottoressa Trenta, ufficiale dell’Esercito (già trasferito ad altra mansione) e su un incarico che il Ministro avrebbe avuto in un’azienda che reclutava contractors da mandare in Africa e Medioriente, questioni che non sembrano dirimenti della competenza di un Ministro, finché non siano evidenziati reati specifici.

Già, sviare l’attenzione: nell’epoca della post-verità, come la chiama qualcuno, delle fake news come spesso sentiamo ripetere, tutti indicano qualche scandalo, si indignano per qualcosa che “nessuno vi dirà mai!”, ma si parla poco dei fatti, le dichiarazioni hanno sempre il centro della scena; potrebbe addirittura sorgerci il dubbio che nel marasma dei titoli sensazionalistici e delle discussioni sui valori non negoziabili, si finisca per discutere di cose con poco senso e si tralascino argomenti che meriterebbero una più approfondita riflessione pubblica. Un esempio di questo potrebbe essere la “spinosa” questione degli F35, definita così da qualche giornale. La domanda è: spinosa perché? Arrivati a questo punto (dopo decenni di programmazioni, spese previste e in parte sostenute, catena di montaggio già avviata con i primi aerei prodotti in Italia già consegnati) quali opzioni potrebbe avere l’attuale Ministro, bloccare il programma? Giova ricordare che l’Aviazione Navale italiana, attualmente, non ha alternative alla versione C dell’F35 (quella in grado di operare dalle portaerei), infatti i suoi AV8 (gli aerei a decollo verticale attualmente in dotazione) hanno ormai quasi 30 anni di servizio e vanno sostituiti. Bloccare l’acquisto degli F35 potrebbe significare lasciare le nostre due portaerei (già perché il Garibaldi alla fine ce lo siamo tenuti, anziché venderlo, pur in presenza di un compratore) senza aerei.

C’è poi da considerare che l’F35 ad oggi è un così detto game changer, cioè ha una tecnologia e delle prestazioni tali che nessuna altra arma attualmente in uso può neutralizzarlo, a meno di accettare un alto rateo di perdite. Non facciamoci illusioni prima o poi Russi o Cinesi avranno nella loro disponibilità un’arma che sarà in grado di competere con il velivolo più costoso della storia, ma fino a quel giorno la nostra marina sarà la prima in Europa (e la seconda la mondo) a poter disporre di due portaerei con un caccia imbarcato di quinta generazione. Per fare un esempio i francesi dispongono di una portaerei a propulsione nucleare che però imbarca (ed imbarcherà per i prossimi anni) un caccia di quarta generazione (il Rafale). In poche parole disporremo per molti anni di un formidabile strumento di deterrenza e (quindi) di pressione politica, utile per tutelare gli interessi nazionali all’estero, che negli ultimi anni sono stati spesso messi in discussione, anche da paesi “amici”. Inoltre nazioni a noi vicine, ma non proprio portatrici di stabilità geopolitica, si sono dotate, o si doteranno nell’immediato futuro, di questo velivolo. Due esempi su tutti: Israele (che lo ha già usato per bombardare la Siria e violare lo spazio aereo iraniano nel mese di maggio) e la Turchia (che riceverà il primo aereo a fine giugno, creando un grosso problema di sicurezza agli Stati Uniti e allo stesso Israele perché, anche se membro della NATO, Erdogan è vicino a Putin). Prudenza consiglierebbe di tenerci al passo con i tempi, dimostrando come impostare il dibattitto pubblico di oggi sulla dicotomia favorevoli o contrari all’ F35, sembra un’arma di distrazione di massa.

Per questo stesso principio anziché chiedere chiarezza sui rapporti con una società privata che si occuperebbe di reclutare contractors, (strategia per altro usato da molti paesi nel mondo), che comunque, ad ora, non pare sia un reato per la legislazione italiana, perché non si chiede di spiegare e approfondire i legami tra università private, che si occupano di intelligence, e paesi stranieri? Soprattutto nell’ambito della protezione dei dati personali dei nostri militari, che qualora venissero “divulgati incautamente” potrebbero esporre le loro famiglie a pressioni illegittime o addirittura a pericoli.

Speriamo che certe domande possano aiutare il Governo a fare le sue scelte e tutti noi a valutarle.

 

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