In occasione del Roma pride, i movimenti Lgbt creano le «Brigate arcobaleno» che mescolano Resistenza e omosessuali
Milano 9 Giugno – Il premier Giuseppe Conte, sostenuto dai barbari populisti, infila Dostoevskij nei discorsi; persino Ignazio La Russa sfodera citazioni di Philip Roth. Segno che, nel nuovo scenario, anche la (presunta) superiorità intellettuale della sinistra va sgretolandosi. E allora che cosa resta alle truppe progressiste? Quali armi possono brandire? A quali argomenti possono agganciare la loro azione politica? Il tema del lavoro, ormai, è cannibalizzato dai cosiddetti «sovranisti» e persino l’antica lotta di classe è diventata patrimonio dei rossobruni. Addirittura l’ecologia si è tramutata in terreno fertile per i conservatori. In prima linea contro la globalizzazione e il neoliberismo ci sono le forze identitarie. Ovunque il progressista si giri, insomma, trova uno di destra più a sinistra di lui.
Che fare, dunque? Il dramma lo ha ben sintetizzato il politologo americano Mark Lilla: «Dopo tante discussioni l’unico punto su cui i liberal sono riusciti a trovare un accordo è stata l’identità. L’interesse per la politica estera e l’economia è scomparso, ogni cosa ha preso a ruotare attorno ai nuovi dannati della terra, i discriminati per ragioni etniche o di gene. Ecco che cosa resta alla sinistra: i «diritti». Cioè le pretese delle minoranze vere o presunte. Femministe, gay, trans, migranti, rom, musulmani… I partiti progressisti sono diventati i portavoce (nemmeno troppo esclusivi) delle istanze di costoro. Non degli individui, attenzione, bensì dei gruppi. Del singolo omosessuale – che magari è più interessato alla riduzione delle tasse che al Gay pride – non importa agli impegnati. Del singolo migrante – che magari vivrebbe meglio se potesse restare nel suo Paese – idem. Contano solo le minoranze che fanno quadrato e alzano la voce, spesso pretendendo privilegi.
La sinistra combatte per loro, talvolta con risultati controproducenti. Basta guardare la cronaca degli ultimi giorni. Appena il governo Conte si è insediato, sono stati avviati i consueti mulini. I nuovi ministri sono stati accusati di odiare gli immigrati, di essere razzisti, maschilisti e omofobi.
E poiché non era sufficiente, la senatrice a vita Liliana Segre ha risposto a un appello di Repubblica dichiarando che si sarebbe opposta strenuamente a «leggi speciali» contro i rom. In realtà, di queste fantomatiche leggi nessuno aveva mai parlato. Le uniche rom a cui qualcuno ha fatto riferimento negli ultimi giorni sono le tre signore che hanno rubato in casa del sindaco di Milano, Beppe Sala, uomo del Pd. Le quali rom, peraltro, sono già libere. Forse le leggi speciali sono quelle che hanno permesso loro di non stazionare in carcere…
Da dove nasceva, allora, l’intemerata della Segre? Semplice: c’era bisogno di agitare uno spauracchio, di tirare in ballo in qualche modo l’Olocausto, le leggi speciali e la soluzione finale. Poiché non si poteva attaccare l’esecutivo in altro modo, si doveva ricorrere al solito feticcio: il fascismo. Attivismo per i diritti più antifascismo: ecco la descrizione della sinistra italiana. Il tutto in un Paese in cui i diritti sono garantiti (sono i doveri che difettano) e il fascismo non c’è.
Queste due ossessioni combinate producono effetti grotteschi. L’esempio più lampante è la campagna promozionale del Gay pride che si svolgerà domani (oggi ndr) a Roma. Gli organizzatori della sfilata, con la benedizione dell’Anpi, si sono inventati la «Brigata arcobaleno», a cui ha già fatto cenno su queste pagine Mario Giordano.
«Tina è una ragazza di 93 anni, Modesto un giovane di 92», si legge sul sito del Pride. Due partigiani, con tanto di fazzoletto tricolore al collo, sorridono, nemmeno troppo convinti, con le bandiere arcobaleno alle spalle. Questo perché «il coordinamento Roma pride – da sempre promotore di posizioni e ideali profondamente antifascisti – ha scelto quest’anno di dedicare la grande parata del 9 giugno proprio alle partigiane e ai partigiani che hanno combattuto per liberare l’Italia, oppressa e occupata da fascisti e tedeschi». Certo, del resto è noto che i partigiani abbiano combattuto per i diritti degli omosessuali. Andavano sui monti canticchiando i brani di Raffaella Carrà e sparavano all’impazzata contro i «crucchi omofobi». Poi, certo, il Partito comunista a cui quei partigiani facevano riferimento perseguitava ed espelleva gli omosessuali, ma sono dettagli. Quel che conta è che gli attivisti arcobaleno sono al fianco dell’Anpi per far sentire la loro voce dopo una campagna elettorale che definiscono (citando Amnesty international) «intrisa d’odio e xenofobia indirizzati non solo ai migranti, ma anche ai rom, alle persone Lgbt, alle donne e ai poveri». Vedete? Non manca nessuna minoranza. Ah, sì, forse non ci sono le lesbiche, bandite dalla sfilata dell’orgoglio perché contrarie all’utero in affitto. Forse per loro i partigiani non hanno combattuto. Di sicuro, però, hanno sfidato le armate germaniche in nome dei rom, dei musulmani, delle femministe e dei trans.
Sono cortocircuiti curiosi, non trovate? La sinistra impegnata è impegnata a chiedere più moschee (Repubblica propone che a Milano siano realizzate pure nei cinema dismessi), difendendo i musulmani dal «fascismo» pentaleghista. Però i musulmani, tempo addietro, erano alleati con Hitler e non esattamente contrari alla soluzione finale. Per altro, non sono noti per amare i gay. I quali sfilano assieme all’associazione dei partigiani comunisti, cioè quelli che – a suo tempo – gli omosessuali non potevano proprio sopportarli. Tutti insieme, fanno riferimento a un partito – il Pd – che ogni due per tre tira in ballo la Resistenza, salvo poi essere schierato su posizioni totalmente filo tedesche. Eccola, la politica dei diritti: la sinistra, alla ricerca disperata di un’identità, si appiglia alle identità degli altri. Così i partigiani rossi marciano in piazza assieme ai gay per difendere l’Europa tedesca, i rom, i migranti e i trans. Sono tutti insieme, uniti nella «Brigata arcobaleno» contro il nuovo governo fascista liberamente eletto dagli italiani. Un governo così omofobo da avere un portavoce gay.
Francesco Borgonovo (La Verità)
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