Milano 19 Giugno – Il filosofo liberale Corrado Ocone constata con lucidità che il liberalismo non è mai stata la cultura dominante in Italia, ma la necessità di un movimento liberale vero è urgente. Proponiamo le riflessioni e le proposte di Ocone pubblicate da L’Intraprendente
“Per formazione realistica, ho sempre diffidato di chi vuol fare la storia con i se. Anche quando, qualche anno fa, intitolai Il liberalismo che non c’è un’antologia collettanea di scritti “liberali”, quel titolo voleva essere descrittivo e non recriminatorio. Si è quel che si è e, anche se le cose potranno in futuro prendere una piega diversa, la storia certo non potrà già domani, come d’incanto, fare un salto. Le culture politiche predominanti in Italia non sono mai state liberali, e continuano a non esserlo.
Liberale non è nemmeno la cultura, o mezza cultura, diffusa, quella che circola nel paese, in primo luogo fra i cosiddetti intellettuali. E che questo sia un dato di fatto, di cui anche noi liberali dobbiamo prendere atto, se vogliamo fare politica, mi sembra indubitabile. Certo, la nostra non potrà essere una politica di testimonianza, perché la testimonianza, per sua natura inefficace politicamente, ha valore ed ha corso solo sul terreno morale. Esiste ovviamente un liberalismo morale, che svolge anch’esso indirettamente una funzione politica, ma, se decidiamo di scendere in campo, dobbiamo di necessità fare i conti con le forze reali. Il tema di un possibile Partito liberale, proposto dal direttore de “L’intraprendente”, si converte perciò per me nel tema più ampio dei “liberali in politica”. Credo, infatti, che non abbia molto senso politico per i liberali voler creare oggi un partito, ma non ne aveva uno a ben vedere nemmeno quando un Partito liberale in Italia pure esisteva. Il problema è infatti teorico prima che storico: la cultura liberale non può essere parte perché essa è al di sopra delle parti. Essa è attenta solo a che siano rispettate le regole del gioco: vigila a che nessuno, non avendo in tasca la Verità assoluta, pretenda di sopraffare l’altro nel gioco politico, che è per sua natura di composizione e mediazione di interessi.
Lo spettacolo offerto in questi giorni dagli oppositori del governo Conte, che pure non ha in sé porzioni sufficienti di liberalismo (come non ne avevano gli esecutivi procedenti), è da manuale: non si può infatti delegittimare moralmente l’avversario politico prima ancora che si metta all’opera, dimenticando che questo governo non ha alternative ed è composto da forze politiche che hanno avuto la maggioranza dei consensi democraticamente espressi. Si provi piuttosto a costruire un’alternativa credibile per il futuro, controllando e criticando ovviamente questo governo in ogni suo atto ma senza spostare il discorso, come era già avvenuto con Berlusconi, sul terreno ad esso non consono della morale (o dell’estetica!). Fra l’altro, è un’atteggiamento che non paga nemmeno politicamente.
Sono però riflessi incondizionati quelli che ci portano a gridare ogni volta all’ “emergenza” e al “fascismo”, retaggi di una mentalità comune non liberale che è profondamente radicata nel nostro Dna, cioè nella nostra storia. Anche senza partito, i liberali in politica devono però provare a puntellare questo spirito comune: la loro attenzione deve volgersi non solo ai contenuti, come dovrebbe essere proprio di chiunque faccia politica in democrazia, ma anche sulle forme del discorso politico. Capisco che il mio discorso potrà sembrare poco concreto, ma anche se la nostra bussola è, come deve essere per un liberale politico, l’individuo, dobbiamo tenere sempre presente il contesto in cui ci muoviamo. Quello che è certo, per me, è che l’individuo liberale non è un ente disincarnato: che i suoi spazi di libertà si conquistano, si difendono, e ahimé qualche volta si perdono pure, nella storia. I poteri che minano la nostra individualità sono tanti, non solo quello dello Stato. Il potere del conformismo, prima di ogni altro. Anche io vedo, come Giovanni Sallusti, una linea di continuità fra le politiche liberiste di Thatcher e Reagan, e quelle non apertamente tali di Trump. In entrambi i casi, intuisco lo sforzo di conquistare spazi di libertà sottratti all’individuo (e anche all’uomo qualunque) dai grandi Moloch, nazionali e internazionali. Ma non vorrei che questa funzione in negativo, che è propria del liberalismo, venisse assunta come qualcosa di più. La politica, compresa quella liberale, tutto può garantire tranne che la felicità. Penso che i Padri fondatori, nel parlare di “ricerca della felicità”, avessero le proprie buone ragioni: insistevano sul momento della tensione, piuttosto che su quello della realizzazione. Non vorrei comunque che si riponessero oggi troppo speranze, seppur liberali, nella politica. Ad ogni forma, più o meno velata, di costruttivismo, continuo a preferire il sano scetticismo verso la politica razionalistica di uno Hume. Anche se sono, d’altro canto, ben consapevole del fatto che dove la mentalità liberale langue, come in Italia, lo scetticismo rischia di convertirsi rapidamente in cinismo e menefreghismo. Il lavoro del liberale non è facile, e non è troppo semplificabile (anche perché è spesso controintuitivo). Però proprio in questo consiste buona parte del suo fascino”
Corrado Ocone (L’Intraprendente)
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