Milano 21 Giugno – Conte…che è già un segno di distinzione se non di nobiltà. Un cognome che vorrebbe presentarsi da sé, che, insomma, fa la sua figura. Soprattutto se veste un uomo apparentemente mite, dal sorriso con il complesso dell’eterna Cenerentola, il fare garbato di chi sa ascoltare, con quel mezzo inchino che sfugge all’intenzione e che rivela quel suo essere meridionale nel rispetto per i potenti. Ha imparato le buone maniere per la lunga frequentazione con giuristi e cardinali, aiutato da un’eleganza innata nel portamento. E’ un portavoce dignitoso e obbediente. Così molti pensano di lui, un portavoce un po’ arlecchino servitore di due padroni e un po’ sprovveduto nelle stanze del potere. Il fatto è che quel curriculum gonfiato, quell’imbarazzo per gli appunti persi in Parlamento, quel dire e fare apparentemente senza autonomia, hanno prestato il fianco all’ironia e, a volte, alla derisione. Salvini riempie la scena con determinazione, Di Maio si fa in tre per farsi notare, Conte rimane dietro le quinte. Ma occorre dargli credito di una lucida intelligenza e di un’ottima cultura. Un ragazzo, un uomo che viene dal sud da una famiglia non benestante, ma ricca di valori, sgobbone, brillante negli studi, intuitivo e forse anche furbo. Perché ha saputo costruire una carriera scegliendo sempre le persone giuste, quelle con cui poteva fare uno scatto in avanti, coltivando amicizie importanti a destra e a sinistra, purchè fossero utili. E’ un uomo che poteva dirsi appagato: professore ordinario di Diritto privato all’Università di Firenze, una compagna bionda, bella e molto più giovane, frequentazioni ottime. Ma l’ambizione, quella che lo macerava nelle lunghe notti di studio, era lì a tentarlo, come un miraggio. E se l’offerta di diventare Dio si fosse presentata un giorno, non importa con chi, l’avrebbe mangiata, senza ripensamenti. Oggi è premier, tiene ancora la testa bassa, ma ha creato un filo diretto con Mattarella, al G7 sceglie come interlocutore privilegiato Tump, riceve quella telefonata da Macron che non contiene scuse, ma è sufficiente per puntare i piedi e andare a Parigi, sa ammiccare tra l’ingenuo e il complice negli incontri bilaterali, pratica la mediazione inconcludente, ma elegante. “Questa è veramente troppo, supera ogni limite”. E ancora: “Così non reggiamo, devi rettificare”, fa sapere a Salvini che propone il censimento dei Rom. Perché ha iniziato a capire come gira il vento e quel “devi” è senza possibilità di equivoci un imperativo categorico. Lo sgobbone, quello che ha imparato a giudicare e a scegliere le strade giuste per far carriera, sta studiando, fidandosi solo di se stesso, la testa bassa, ma gli occhi ben aperti. E che importa se in Italia vanno in scena Salvini e Di Maio..lui è sempre il premier e non gli manca l’intelligenza di giocare a scacchi con lungimiranza e astuzia. Il governo durerà comunque. Troppo comode le poltrone del potere.
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845