Milano 22 Giugno – In questi giorni di intenso dibattito sul problema dell’immigrazione, il sindaco di Milano Beppe Sala non perde occasione per affermare urbi et orbi la profonda differenza tra il governo in carica e l’amministrazione cittadina, che, a suo dire, è e sempre sarà “accogliente” verso i clandestini. E così, su iniziativa dell’assessore Majorino, uno che dell’ideologia ha fatto una ragione di vita, probabilmente perché di utile e concreto non sa fare nulla, la Giunta sta organizzando il maxi pic nic con gli immigrati irregolari al parco Sempione.
Nel mentre, la città vera, concreta, quella che cerca di tirare avanti e per cui principi astratti e massimi sistemi non sono il principale pensiero con cui confrontarsi quotidianamente, si appresta a vivere il suo ennesimo problema: infatti, nei giorni scorsi è arrivata un’altra, tragica, notizia – si susseguono con tale rapidità che non si ha neanche il tempo per stigmatizzarle tutte – per la mobilità, contro la quale la sinistra illuminata ha scatenato un’autentica crociata, innalzando il solito vessillo ideologico della città “sostenibile”, in pratica la foglia di fico di tutte le peggiori angherie ai danni dei cittadini non inquadrati ideologicamente nel fiabesco mondo radical chic.
Uno degli operatori di bike sharing “free floating” si è inventato un sovrapprezzo, una penalità, una multa, la si chiami come si preferisce, per chi lasci, al termine nel noleggio, il mezzo in alcune zone periferiche ritenute ad alto rischio e basso profitto.
E non si tratta di una cifra simbolica, visto che la penale ipotizzata ammonta a ben sette euro, cifra di gran lunga superiore al costo medio di ogni singolo noleggio e francamente esorbitante per il cittadino: è evidente che soltanto soggetti totalmente slegati dalla realtà, in pratica il Sindaco, gli assessori di Milano e la loro claque intruppata nel più becero e oscurantista associazionismo post comunista oppure arroccata nelle eburnee torri del centro città, possono pensare, ammesso che abbiano contezza della reale gravità del problema tra un pin nic coi migranti e una roboante supercazzola sulla “forestazione urbana”, che un residente di Vialba si accolli quotidianamente un costo del genere, capace di assorbire uno stipendio e mezzo se non due all’anno. .
Quindi, ancora una volta il cervellotico, costoso e inefficiente sistema di mobilità che le amministrazioni gauche caviar, incapaci di rendersi conto che il mondo non è costruito a loro immagine e somiglianza, stanno artificiosamente costruendo in laboratorio rischia di penalizzare la periferia. Cioè i soggetti più deboli, colpevoli solo di non esser benestanti residenti delle zone più nobili e di dover combattere ogni giorno per mettere insieme il pranzo con la cena, insomma, di appartenere a quel popolo che la sinistra intellettualoide disprezza con feroce acrimonia.
Sia chiaro, la scelta dell’operatore, soggetto privato, è del tutto legittima, ciascuno eroga i propri servizi nel modo che più ritiene redditizio e punta a massimizzare il proprio profitto.
Il problema sorge a monte, laddove chi amministra si è prefisso di costruire una città delle fiabe, modulata su utopie irrealizzabili (a tutti piacerebbe trascrorrere le giornate a passeggiare nei parchi accompagnati dal cinguettio degli uccellini, purtroppo però la maggior parte della gente deve lavorare), selettiva ed esclusiva, nonostante i tonitruanti proclami sull’inclusione di cui la sinistra non perde occasione di far sfoggio.
Le risoluzioni in materia di mobilità rispecchiano in pieno questa mentalità ideologica e classista, l’imposizione della “sharing mobility” come alternativa obbligatoria all’auto privata, praticamente bandita in modo scriteriato dalle strade di Milano, è uno degli strumenti per attuare questo progetto tanto elitario quanto fallimentare.
Infatti, nonostante sia la Giunta Pisapia sia quella Sala, dopo aver frettolosamente scaricato GuidaMi di ATM, abbiano fatto di tutto per favorire gli operatori privati di car sharing e bike sharing che operano in città, di (ovvi) problemi se ne sono verificati fin dall’inizio: un operatore di car sharing ha imposto una costosa tariffa extra per chi parcheggi la vettura (tanto per cambiare) in tutte le periferie, un altro ne aveva originariamente prevista una ridotta per la sosta (chi, rinunciando alla propria auto, ne usi una “condivisa” per fare la spesa, ovvio che voglia mantenere “aperto” il noleggio durante la permanenza nei negozi onde ritrovare il mezzo e rientrare a casa in auto con le borse) salvo poi eliminarla e un altro operatore ancora è fallito dopo poco tempo, lasciando per mesi e mesi le proprie vetture inutilizzate a ingombrare i già pochi parcheggi cittadini, senza che, ovviamente, l’amministrazione intervenisse: le auto dei cittadini, trattati alla stregua di sudditi, sono da espellere, mentre un operatore di car sharing miseramente fallito in breve tempo può utilizzare la città come discarica privata. Non solo, perché l’operatore fallito fosse sostituito da un altro, c’è voluto quasi un anno (soprattutto per i tempi necessari alla predisposizione ad opera dell’assessorato del relativo bando), durante il quale le limitazioni alla circolazione delle auto private sono rimaste in vigore, ma l’offerta di auto collettive era evidentemente ridotta rispetto a quanto previsto dall’amministrazione e, quindi, inidonea a soddisfare tutte le esigenze determinate proprio dalle politiche di ostruzionismo all’uso delle auto private. Infine, l’operatore subentrato propone veicoli alto di gamma, ingombranti (per fortuna il car sharing dovrebbe ridurre la congestione e l’occupazione del suolo), con motori potenti (alla faccia di tutti i discorsi sulle emissioni di CO2 che penalizzano tutti i cittadini) e spesso sfiziose, ma assolutamente poco pratiche (l’amministrazione non lascia usare ai milanesi le loro utilitarie, ma offre loro lussuose quanto inutili vetture cabriolet). E dal costo di noleggio più elevato rispetto a quello di altri operatori.
Insomma, una mostruosa serie di contraddizioni che, al di là di come finirà l’ultimo caso (al momento il sovrapprezzo è sospeso), dimostrano che imporre il mercato della mobilità condivisa con la forza crea più problemi di quanti ne risolva, perché di fatto impone ai cittadini soluzioni meno pratiche, ma più costose. Auto e bici in sharing (il Visconte Cobram, almeno, imponeva gratuitamente ai suoi malcapitati sottoposti l’uso della bici, Sala lo fa perfino pagare!) sarebbero sicuramente utili (infatti l’idea originaria risale al Sindaco Moratti, guardacaso), se non fossero imposte come obbligo mediante limitazioni e vessazioni all’uso dell’automobile privata.
Se poi si considera che le amministrazioni petalose che governano Milano da ormai sette anni hanno deliberato un ulteriore aumento del costo del biglietto ATM, pur avendo continuamente ridotto le corse per numero e frequenza, l’entrata in servizio della M4 (i cui cantieri sono gestiti davvero male) è slittata di altri due anni nonostante il continuo aumento dei costi e dal prossimo anno veicoli a gasolio anche relativamente recenti non potranno più circolare in città, emerge in tutta la sua gravità la gestione approssimativa di forme di mobilità alternativa, da sole comunque inidonee a colmare le necessità dei cittadini. E i flebili, timidi guaiti dell’assessore alla mobilità nel tentativo di scongiurare l’introduzione del costo extra per le periferie da parte dell’operatore di bike sharing, indipendentemente dall’esito che avranno, non devono trarre in inganno, perché, come detto, questo episodio è solo l’ultimo di una lunga serie che ha coinvolto le società di sharing mobility.
Quindi, i casi sono due: o il Comune non è in grado di negoziare con gli operatori criteri di servizio ben precisi in favore dei cittadini in modo da scongiurare limitazioni come quelle via via verificatesi, oppure questo tipo di mobilità non è abbastanza conveniente per gli stessi operatori se deve, almeno in parte, sostituirsi al servizio pubblico e costituire una necessità e non una semplice opportunità per gli utenti.
In entrambi i casi, un’inutile vessazione a carico di milanesi.
Ma, purtroppo, da parte di chi pensa che i conflitti e le tensioni sociali come quelli che l’immigrazione clandestina di massa inevitabilmente comporta si possano risolvere a colpi di aperitivi e pic nic conditi dal consueto effluvio incontrollato di chiacchiere sociologiche, oppure che i milanesi utilizzino l’automobile per divertimento e pigrizia, non si può certo pretendere comprensione per questo tipo di problematiche, relegate con disprezzo a queruli piagnistei di marca reazionaria provenienti da quel popolo che immaginano composto solo da soggetti fobici, psichicamente turbati e analfabeti funzionali che, nella loro gretta e interessata mentalità retriva e bigotta, sono disfunzionali all’incedere inarrestabile della rivoluzione petalosa.
Milanese di nascita (nel 1979) e praticante la milanesità, avvocato in orario di ufficio, appassionato di storia, Milano (e tutto quel che la riguarda), politica, pipe, birra artigianale e Inter in ogni momento della giornata.
Mi improvviso scribacchino su Milano Post perché mi consente di dar sfogo alla passione per Milano e a quella per la politica insieme.
Avrei solo una piccola, ma importante modifica da proporre al titolo di questo post.
Propongo di modificare da “petalosa” in “PIETOSA”.
In effetti la pietà è il giusto aggettivo per identificare ciò che è rimasto di quello che una volta era la sinistra italiana.