Il nostro ministro degli Esteri, Enzo Moavero, legge il summit di Bruxelles come un incontro che ha gettato le basi di una politica Ue di cooperazione riguardo ai problemi dell’accoglienza. E lancia una proposta: una tassa europea sui giganti del web per aiutare l’Africa. Lo spiega nell’intevista rilasciata a Marco Zatterin per La Stampa.
“Sul tavolo ci sono le conclusioni del vertice europeo dell’altra notte a Bruxelles, squadernate con ordine, evidenziate in giallo, annotate in rosso.
Enzo Moavero le sventola per esprimere la convinzione che, nonostante le critiche abbondanti, nella capitale belga sia andata piuttosto bene, perché «le conclusioni del summit sono il primo aggregato strutturato di una possibile politica comune europea delle migrazioni». Certo si poteva fare meglio, dice il ministro degli Esteri, «davanti a una sfida così drammatica, occorreva un salto coraggioso che permettesse misure più immediate». Però si è arrivati a «una tela di fondo condivisa che apre concretamente a sviluppi condivisi». Se funziona, vuol dire che «gli Stati accettano gli orientamenti politici del Consiglio europeo». Se no, «torniamo allo scaricabarile, al braccio di ferro e ci si ritroverà a trattare nave per nave».
La convinzione di Moavero, è che «l’Europa possa scivolare malamente se sarà incapace di essere coerente con gli intenti e la linea politica che il Consiglio europeo ha, adesso, messo nero su bianco». In altre parole, proprio alla luce della richiesta di azioni volontarie, «chi non accetta i centri di accoglienza, tradisce lo spirito del vertice». Ma l’atmosfera delle riunioni bruxellesi è cambiata, riconosce il giurista, uno che di riunioni a dodici stelle ne ha vissute a centinaia. «Le divisioni sono palesi. Lo indica anche il maggior ricorso alla lingua nazionale da parte dei ministri, quando parlano alle riunioni», nota, e questo gli pare «un segno di un cambiamento non in meglio». Preoccupante.
L’Europa rischia il crollo?
«Demolire il sistema dei Trattati Ue non conviene a nessuno. Sarebbe folle, si tornerebbe all’anteguerra, non credo succederà. E’ vero però che siamo in mezzo al guado rispetto alla prospettiva politica dell’Ue. In particolare, gli Stati sono ipersensibili sulle questioni identitarie, molto più che su quelle economiche. Non si può sottovalutarlo».
Dal vertice sono uscite più affermazioni di principio che indicazioni concrete.
«Per certi versi, le conclusioni del summit danno un colpo al ferro e uno al fasciame. Tuttavia, per la prima volta, si disegna una certa strategia comune. Se si innesca un circolo virtuoso di condivisione, potremmo arrivare a una vera politica Ue peri migranti».
Se falliamo?
«Spero di no. Il cantiere è complesso, ma possiamo farcela. Ci vorrà tempo. L’alternativa è un’Europa che non funziona e in un clima ipersensibile per i nazionalismi di ritorno, l’Unione si affievolirebbe, deludendo le residue attese dei suoi cittadini».
Come funzionano le conclusioni finali del vertice Ue?
«Lo schema che delineano inizia dall’impegno esterno. Si ribadisce il nodale rilievo degli investimenti, pubblici e privati, in Africa e soprattutto nei Paesi d’origine dei migranti. È un “aiutiamoli a casa loro” ma declinato con maggiore forza operativa».
Non li fermeremo presto.
«Ecco il secondo tassello. Viene ribadito in più punti del testo adottato che bisogna lottare contro i trafficanti di esseri umani e cooperare con i Paesi africani. L’idea è di creare punti di raccolta e tutela nei Paesi di transito e in quelli rivieraschi, per informare e assistere finanziariamente chi intenda tornare indietro.
Ci vogliono molti soldi. Dove li prendiamo?
«Il summit ha espresso la volontà di stanziare le risorse nel prossimo quadro di bilancio Ue. Al riguardo, penso si debba ragionare su maggiori entrate, alternative alle attuali a carico dei singoli Stati. Si potrebbe assegnare il gettito dell’istituenda Web-Tax europea, destinata ai giganti della rete che sinora si sono avvalsi della possibilità di fare slalom fra i diversi regimi fiscali nazionali, con effetti distorsivi sul mercato interno europeo».
Nessuno dei Paesi interessati accetta di ospitare i centri di raccolta.
«Occorre negoziare con loro specifici accordi, assicurandosi siano garantite condizioni adeguate e i diritti umani. Le conclusioni dei leader invitano a un lavoro diplomatico e finanziario difficile, ma nient’affatto impossibile».
Sono obiettivi di medio lungo termine. Che facciamo con i migranti che arriveranno nel corso dell’estate?
«Possiamo, subito, iniziare un grande lavoro preparatorio, intensificare gli investimenti in Africa e negoziare le intese coi Paesi di transito e origine. Tutto questo, però, come Europa, non come singoli Stati. Perché, ora, con il bollino del Consiglio europeo, la situazione cambia».
Le Ong sono nel mirino?
«Ci sarà vigilanza più stretta sulle Ong, per impedire che, consapevoli o meno, diventino un fattore di attrazione per i mercanti di persone».
Arriveranno in molti nei prossimi mesi. Chi li accoglie?
«Il diritto internazionale impone di condurre i salvati in mare in “porti sicuri”; non necessariamente in quelli “più vicini”, a meno che non ci siano emergenze. Se gli Stati Ue aprissero, volontariamente, dei porti di accoglienza, sarebbe una svolta per gestire meglio le contingenze con sforzo condiviso».
La Francia risponde “no”, la Spagna “ni”. Non ci siamo.
«Il Consiglio europeo dice di istituire centri negli Stati Ue, finanziati dall’Unione, per accogliere, identificare i migranti e verificare chi ha i requisiti per l’asilo in Europa. La volontarietà della decisione al riguardo vale per tutti. Anche per l’Italia».
La riforma delle regole di Dublino richiede l’unanimità. Un sogno?
«La discussione è già avviata. “Dublino” disciplina le procedure per ottenere asilo. Quanto ricordavo del testo del Consiglio europeo, può ridurre il numero degli arrivi in un singolo Paese Ue, ripartire gli oneri fra gli Stati e rendere così più veloci le procedure».
Si è vista parecchia irritazione al vertice. Anche nei confronti dell’Italia che ha fatto la voce grossa.
«A ben vedere, c’erano due tipi di irritazione. Una dipendeva dal sentimento d’impotenza collettiva e da un’Europa impacciata su una questione così sensibile. L’altra, credo vada letta come la reazione negoziale Durante la notte delle trattative non siamo stati al fianco dei Paesi di Visegrad, anzi… Se nel Mediterraneo non si collabora saremo costretti al braccio di ferro su ogni nave in arrivo verso il governo ultimo arrivato, il nostro, che ha scelto di entrare subito e appieno in partita, non fuggendo le posizioni decise. Davanti a intenti altrui non condivisibili, non potevamo essere “Alice nel paese delle meraviglie”. Così, per esempio, abbiamo detto che non avremo dato l’accordo a singoli capitoli del testo delle conclusioni sinché non fossimo d’accordo su tutti. E’ un classico nei negoziati complessi».
Qualche rapporto incrinato?
«Non direi. Ci siamo interfacciati bene con tutti, anche in incontri a margine della riunione principale. Abbiamo fatto proposte, trovato sostegni. Non è sempre scontato, non abbiamo avuto baruffe sterili. Al di là delle illazioni, di sicuro non siamo stati al fianco dei Paesi di Visegrad, anzi…».
Come vi ponete verso l’asse franco-tedesco?
«Noi intendiamo sederci a ogni tavolo, sia collettivo, sia ristretto, purché costruttivo. Non subiamo il complesso del club dei “grandi”. Ci interessa il concreto e il risultato, non la scena e le parole vane. Contano le sinergie e per il Mediterraneo centrale è essenziale coordinarsi con Francia, Malta, Spagna e con i Paesi del Nord Africa».
Salvini si è fatto sentire con toni accesi. Come funzionano i rapporti col Viminale?
«Ci sentiamo con frequenza, la Farnesina è sempre informata e i rispettivi ruoli ben distinti. Sono contento per l’ottima dialettica che esiste in seno al governo». “
Marco Zatterin (La Stampa)
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